Solo il medico ferito guarisce. Ma se il medico si chiude nell’abito professionale come in una corazza, non ha efficacia
Carl Gustav Jung, “Sogni, ricordi, riflessioni” 1961
La follia che ci circonda
La follia. Siamo tutti immersi in un mare di follia e impegniamo gran parte delle nostre energie a negarlo e a difenderci da essa. Come scriveva Saul Bellow, “In un’epoca di pazzia, credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia”.
La follia ci fa paura.
Temiamo questo marasma di sentimenti ed energia che sentiamo ribollire dentro di noi. Ne conosciamo la potenza ma anche la distruttività.
Viviamo in una bolla dove vige il principio di realtà attivato dal super-Io. Stiamo come rannicchiati all’interno di abitacoli angusti, immersi nelle grandi profondità del mare o negli spazi del cielo. Così sta l’Io, circondato dal mare della follia.
Mi si dirà che è meglio così perché le ‘pressioni del mare profondo’, ovvero dell’inconscio, ci schiaccerebbero. Certo, ed è il motivo per cui l’Io ha costruito la sua “pelle”, come la definiva Freud. E’ il motivo per cui l’Io si ripara dalle aggressioni dell’inconscio, mettendo in atto le sue difese. Ci sono però alcune considerazioni che possiamo fare.
- La prima è che lo spessore della “pelle dell’Io”, le difese, rimanendo nella metafora freudiana, dovrebbero variare a seconda del pericolo e della pressione esterna. E’ chiaro che tanto più andiamo in profondità, tanto più “grosse” devono essere le nostre difese. Ma è altrettanto evidente che comportamenti rigidi di un Io anelastico, diventerebbero poco dinamici e poco vitali. Questo è ciò che succede in una nevrosi. La nevrosi è una antitesi tra l’Io e l’inconscio, dove l’Io risponde irrigidendosi. E’ una difesa eccessiva dell’Io rispetto alle istanze dell’inconscio.
- La seconda considerazione, il mondo che ci circonda, la follia, contiene in realtà l’energia di cui noi ci alimentiamo. Nell’inconscio ci sono le due grandi pulsioni, libido e aggressività che, come centrali atomiche, ci forniscono le energie senza le quali non vivremmo.
- Poi, in profondità, nell’inconscio collettivo, vi sono le immagini archetipiche che ci attraggono come le sirene di Ulisse. Non vivremmo senza il piacere e non attraverseremmo neanche la strada senza aggressività ma, non avremmo né storia né futuro senza gli archetipi.
- Terza considerazione, “la pelle” dell’Io non deve essere impermeabile ma, come tutto in biologia, semi-permeabile, permettere continui “scambi osmotici” tra l’Io e l’inconscio. Dobbiamo fare i conti con le istanze dell’inconscio. Aveva ragione Jung quando sosteneva che la nevrosi non è una patologia da superare, ma l’indicazione di ciò che noi vogliamo. Egli scriveva: «La causa ultima delle nevrosi è qualcosa di positivo che ha bisogno di essere salvaguardato per il paziente stesso; altrimenti egli soffrirebbe di una perdita psichica.» (C.G.Jung – La Psicologia del Kundalini Yoga, Seminario tenuto nel 1932, Bollati Boringhieri, gp.174)
La follia e la psicoterapia
Fisiologicamente ci immergiamo nel nostro inconscio, nel mare della nostra follia, per diverse ore tutti i giorni, quando sognamo. Ed è proprio qui, nell’inconscio, che possiamo cogliere anche razionalmente la paura che proviamo per ciò che staziona in esso. Non a caso, appena svegli, cancelliamo gran parte dei nostri sogni. Diceva Bertrand Russell: “Il pazzo è un sognatore sveglio”, quindi, noi che abbiamo paura di essere pazzi, cancelliamo i sogni.
Il terapeuta che lavora con gli adulti, si trova spesso davanti a pazienti che affrontano il tema della gestione delle proprie pulsioni interne con tematiche molto complesse da caso a caso. L’adulto infatti affronta complessi problemi di adattamento e continuamente corre il pericolo di irrigidire nevroticamente l’Io come difesa.
Eppure in questo delicato e fragile “equilibrio osmotico” fra Io e inconscio, fra l’Io e la follia, fra l’Io e il caos, si gioca la nostra vita, il nostro crescere, l’evoluzione verso una individuazione, oppure l’appassire verso il fallimento.
Il crescere, diventare adulti dipende dalla capacità di conoscere la nostra “ombra”, la parte che rifiutiamo di noi e che molto spesso combattiamo in maniera proiettiva negli altri. Ad esempio, l’omofobo che non accetta la propria parte di omosessualità o il non più giovane che si sottopone a deturpanti interventi di chirurgia estetica.
Ma crescere non significa solo avere un rapporto con la parte che neghiamo, ma trovare il modo di integrarla come parte produttiva della nostra personalità.
Stephen William Hawking astrofisico britannico, fra i più importanti e conosciuti che dal 1963 soffre di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), affermava “…a coloro che sono colpiti da una disabilità, consiglio di concentrarsi sulle cose che la disabilità non gli impedisce di fare bene, e di non lamentarsi per quelle con cui interferisca”, e aggiunge “la malattia mi ha aiutato. Mi ha liberato dal dover fare lezioni o dalla partecipazione a noiosi comitati, e mi ha dato più tempo per dedicarmi alla ricerca”.
Questo è il rapporto con la follia: la malattia che diventa una liberazione. E’ la croce cristiana che diventa simbolo di salvezza e di rinascita.
La follia e rinascita. Che può fare la psicoterapia rispetto a questo progetto?
Intanto dobbiamo far nostro un paradosso di Jung che diceva: “Mostratemi un individuo sano di mente, e lo curerò per voi” , perché nella psicoterapia dovrebbe essere lontana l’idea di far diventare qualcuno diverso da quello che è. Lo scopo della terapia è di liberare le energie interne, le potenzialità negate.
Come? Scriveva Jung: «Spesso mi vengono chiesti chiarimenti circa il mio metodo analitico e psicoterapeutico. Non posso rispondere in modo univoco: la terapia è diversa per ogni caso. Quando un medico mi dice che segue rigorosamente questo o quel metodo, ho i miei dubbi sull’efficacia della sua terapia. È stato scritto tanto sulla resistenza che oppone il malato, da far sembrare quasi che il medico voglia tentare di imporgli qualcosa, mentre la cura dovrebbe provenire spontaneamente dal malato stesso». Appunti dal Seminario ‘Dream and Symbolism’ 1925
Il suo modello terapeutico è la coinfezione. Il terapeuta non solo non giudica il paziente o meglio non lo etichetta con una diagnosi, ma lo capisce, entra in empatia così da vivere col paziente il suo dolore, la follia.
Scrive il Professore A. Romano fondatore della Società Psicoanalitica ARPA di Torino: “Jung è stato il grande promotore del passaggio dal passato al presente, dalla interpretazione alla relazione, dal conoscitivo all’affettivo, dall’analista specchio al riconoscimento dei suoi moti affettivi. Dall’immagine del guaritore senza ferite, anzi dall’asettico chirurgo, siamo passati a quella del guaritore ferito, che usa le proprie ferite per entrare in contatto con il paziente.» Da: “Carl Gustav Jung a Eranos 1933-1952” – Antigone Edizioni
Il terapeuta deve trovare in sé la saggezza di diventare “piccolo e ammalato” come il paziente. In fondo non è molto diverso da quello che diceva Alexander Lowen: “Lo psicoterapeuta deve capire la pena dei suoi pazienti, sentire la loro paura e conoscere l’intensità della loro lotta per difendere il proprio equilibrio in una situazione che potrebbe condurre alla follia, istaurando un rapporto (che lui definisce) familiare. Se non lo fa, non è in grado di aiutare efficacemente i pazienti a superare il loro disturbo”.
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