Cosa sono le terapie riparative? Riparative o dannose?
Ecco cosa sono le terapie riparative. Recenti studi segnalano assurdità e danni
Sempre più spesso si sente parlare di interventi mirati a condizionare l’ omosessualità cioè modificare l’orientamento da omosessuale a eterosessuale. Sono le cosiddette terapie riparative. Ognuno ha detto la sua, dai cantanti ai sacerdoti, troppo spesso bypassando gli addetti ai lavori: psicologi, psichiatri e psicoterapeuti. Da quel momento, il dibattito si è sviluppato in due direzioni. Quasi tutti concordano nel dire che la preferenza omosessuale una normale espressione della sessualità. Da anni non è più classificata tra le malattie mentali o i disturbi del comportamento. Sarebbe un grave atto anti-terapeutico e anti-deontologico quello di cercare di “ripararla”. Come si cerca di fare con le cose che “non funzionano in chiave eterosessuale con delle terapie riparative. Ma c’è chi sostiene che se è il paziente a chiedere di essere aiutato a “cambiare”, allora è giusto che lo psicologo ci provi.
Terapie riparative, un po’ di storia
Due ricercatori statunitensi, Shidlo e Schroeder, nel 2002 hanno condotto uno studio su un campione di 202 soggetti per valutare l’efficacia e gli effetti delle terapie di riconversione sessuale. Hanno individuato due gruppi di pazienti. Il primo quelli che considerano fallita la terapia l’87%, pari a 176 soggetti. Il secondo quelli che la ritengono riuscita il 13%, pari a 26 soggetti. E, tra questi ultimi, però, 18 soggetti riferiscono che i benefici sono stati ottenuti grazie all’uso di specifiche tecniche. Erano tecniche di gestione del comportamento omosessuale. Questi hanno optato per il celibato oppure ingaggiato un’incessante lotta contro l’ omosessualità. 8 riferiscono di aver ricevuto un aiuto nella conversione all’eterosessualità. Queste stesse persone svolgono il ruolo di tutors in gruppi di ex-gay.
Terapie riparative: risultati.
Del gruppo rimasto 20 soggetti non riportano danni psicologici a lungo termine e anzi si sentono quasi fortificati dalla conferma di essere omosessuali. Dei restanti, 156 accusano effetti collaterali negativi derivati dalla frustrazione di non essere riusciti a raggiungere l’obiettivo. Provano depressione, ansia, dissociazione, abuso di sostanze, comportamenti compulsivi e autolesivi, fino a tentativi di suicidio.
Il più recente studio è stato appena pubblicato sulla rivista BMC Psychiatry. Durato sette anni e condotto da Annie Bartlett della University College Medical School di Londra, ha analizzato le risposte di 1328 terapeuti inglesi a un questionario. Il 4% degli intervistati riferisce che su richiesta dell’interessato proverebbe a modificare l’orientamento sessuale di un paziente. Il 17% riconosce però di aver condotto interventi psicologici orientati a modificare le preferenze sessuali di qualche paziente gay o lesbica.
Le ragioni per un intervento riparatore.
Diverse sono le ragioni addotte dai clinici per giustificare il loro intervento “riparativo”. In cima alla classifica troviamo la confusione del paziente nei confronti del proprio orientamento sessuale. Poi, la pressione sociale e familiare, dai problemi di salute mentale e infine, dal credo religioso. Ad esempio, le persone con cui ho praticato l’intervento, dice uno degli psicologi, erano a causa della loro sessualità. Continua il clinico: il loro desiderio era diventare eterosessuali. E questo a causa dalle pressioni degli amici, della famiglia e delle comunità locali.
La malcelata omofobia
Dunque, dicono alcuni, la possibilità di conversione dovrebbe essere disponibile a chi ne fa richiesta. Solo nel rispetto della sua volontà e della sua libertà. Il paradosso è che sarebbe una libertà cercata a seguito di una omofobia, sia sociale, come nell’esempio riportato, sia interiorizzata. Per molti uomini e donne, dice Michael King, scoprire di essere gay è motivo di stress. Per questo alcuni si rivolgono allo psicologo o ci vengono mandati dai genitori, per essere aiutati a cambiare. Di questi psicologi, alcuni magari sono animati dalle migliori intenzioni. Ma quello che dovrebbero fare è aiutare i loro clienti a fare i conti con la loro condizione. Aiutarli a capire che è la società ad avere un problema, non loro.
Non esistono ricerche in grado di provare l’efficacia di tali terapie riparative.
Si tratta di opzioni sconsiderate e spesso dannose.
di Vittorio Lingiardi * e Nicola Nardelli *
* Facoltà di Psicologia 1, Università La Sapienza, Roma
da Repubblica del 16 aprile 2009
e: http://www.gaynews.it
Commento del Dott. Zambello
Non ho mai nascosto che nella mia lunga esperienza professionale, per un periodo sono stato tentato di forzare un po’ la mano e tentare una terapia riparativa. In quel tempo usavo ancora l”ipnosi. Che sciocchezza!
E’ stato proprio l’incontro con Jung, avvenuto dopo un mio lungo, approccio freudiano che ho maturato anche teoricamente che star bene vuol dire essere se stessi.
Che importa se la natura ha deciso con un uomo o con una donna. L’importante é essere capaci di amare e farsi amare. Questo è il compito dello psicoterapeuta: aiutare a diventare se stessi, non a proporre terapie riparative.
Di Renzo Zambello il libro ” Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista “ Ed. Kimerik
Di Renzo Zambello il libro ” Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista “ Ed. Kimerik
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