“Meglio ci guarisce il medico
che ci fa vedere anche la sua piaga.”
Cos’è il transfert?
Il transfert in psicoterapia indica lo stato emotivo che caratterizza la relazione del paziente nei confronti del terapeuta. Nello specifico, il transfert è la traslazione o trasferimento delle tematiche inconsce del paziente sullo psicoterapeuta.
Un esempio: Mario, paziente di 32 anni viene da me per la prima volta e si dichiara un omosessuale infelice. Mi racconta di quanto sia stato doloroso per lui accettarsi e dice di aver avuto tante occasioni per avere dei rapporti sessuali con dei coetanei ma di avere sempre declinato. Dichiara di non avere mai avuto esperienze sessuali né con uomini, né con donne. Poi fa silenzio e quasi stesse pensando ad alta voce aggiunge: “ …sa che questa notte ho sognato che baciavo mia cugina.”
Gli dico: “Ma lei è certo che gli piacciono gli uomini?”
Mario mi guarda, si irrigidisce, diventa rosso per la rabbia trattenuta e alzando il tono della voce dice: “Ci risiamo, lei mi vuole curare. Lei vuole farmi diventare eterosessuale!”.
E’ evidente che Mario proiettava su di me le sue tematiche interne. Non mi interessava assolutamente che lui fosse omo o etero, prendevo semplicemente atto di quello che mi diceva. Il meccanismo messo in atto da Mario compresa la sua rabbia nei miei confronti, è il transfert.
Il transfert nella psicoanalisi
Il concetto di transfert fu elaborato da Freud e divenne il perno della psicoanalisi. Prima Freud , poi la figlia Anna, quindi la klein e a seguire tutti gli psicoanalisti conversero su due concetti basi: il persistere in ogni persona adulta di organizzazioni mentali che obblighino il soggetto a vivere il presente ripetendo il passato. Mario, il mio paziente, aveva proiettato su di me i vissuti che evidentemente gli avevano fatto male ma essi non mi appartenevano, erano solo pensieri suoi. L’altro concetto su cui sembrano essere tutti d’accordo è che, il transfert scatta quando c’è un coinvolgimento emotivo.
Tranfert e terapeuta
Il terapeuta è per paziente una figura emotivamente importante. Nel rapporto paziente/terapeuta, il paziente investe il terapeuta di sentimenti che ripetono la memoria interna. Egli nella realtà, non vive sentimenti reali e oggettivi ma, la ripetizione di quello che aveva vissuto rispetto al padre o alla madre.
E’ chiaro fin da ora che, se questo è lo schema psicodinamico del transfert, il rapporto paziente/terapeuta diventa un patrimonio di informazioni sul passato. Infatti, il terapeuta può capire da “quello che succede” in terapia, cosa è successo nel passato.
L’interpretazione da parte del terapeuta del transfert, è uno sguardo nel passato. “Il transfert” come dice G. Gabbard “è per definizione, una ripetizione”. Da ‘Psichiatria Psicodinamica’ (2002).
Transfert positivo e transfert negativo
In psicoterapia dinamica si riconosce sia un transfert positivo che uno negativo a seconda della qualità dell’investimento affettivo del paziente. Il paziente inconsciamente ripete in terapia la componente positiva o negativa del Complesso Edipico vissuto a suo tempo verso il padre.
Freud però precisava : “Poiché il transfert riproduce la relazione con i genitori, è chiaro che ne assume anche l’ambivalenza. E’ quasi inevitabile che l’atteggiamento positivo verso l’analista si converta prima o poi, repentinamente, in un atteggiamento negativo e ostile.” Da: ‘Compendio di Psicoanalisi. (1938)
Il termine negativo e positivo, quindi, riferito al transfert non è legato al risultato della terapia ma proprio alla qualità dell’ investimento affettivo.
Controtransfert
Il controtransfert è un meccanismo emotivo molto complesso che si riferisce al transfert del terapeuta. Partiamo dal presupposto che la terapia è una relazione paziente/terapeuta. Non sarebbe una relazione credibile se il terapeuta rimanesse lì, in seduta, staccato, come uno spettatore neutro o ancor peggio, come diceva Freud, uno schermo bianco dove il paziente proietta le sue immagini interne e lo scopo del terapeuta è quello di rimandargliele indietro con le interpretazioni.
Non funziona così. La relazione è un coinvolgimento emotivo da ambo le parti dove il paziente racconta le cose che ha dentro e il terapeuta vive empaticamente il racconto cercando di capirne i risvolti inconsci per ridarglielo con le interpretazioni .
E’ vero però che questo coinvolgimento emotivo da parte del terapeuta non deve danneggiare il paziente. Il terapeuta non può confondere, mescolare se stesso con il paziente. Danneggerebbe in maniera colpevole il paziente, invaliderebbe l’analisi e, renderebbe ogni emozione che si muove in psicoterapia poco leggibile.
E allora, come funziona il controtransfert?
A me piace molto ciò che a riguardo disse B. Joseph della scuola kleiniana: “Molto di ciò che noi sappiamo del transfert proviene dalla nostra comprensione di come il paziente agisca su di noi…. di come esso trasmetta aspetti del suo mondo interno, costruito nell’infanzia e poi elaborato nella fanciullezza e nell’età adulta. Esperienze che spesso non trovano espressione in parole e che noi possiamo captare solo a partire dai sentimenti che sorgono in noi attraverso il controtransfert”. Da: ‘The patient who is difficult to reach’. (1975)
Quindi, il controtransfert del terapeuta sono sentimenti presenti nella relazione paziente/terapeuta che non vengono agiti ma che servono al terapeuta per capire cosa veramente dice il paziente. Il controtransfert è il mezzo che permette al terapeuta di capire cosa veramente succede nel teatro terapeutico. Certo si pongono delicatissime questioni che sono alla base della bontà o meno della terapia e forse anche del suo risultato finale, come la formazione del terapeuta. Per me, formazione del terapeuta non significa che il terapeuta è tale quando sarà scevro da nevrosi. Se fosse questa la condizione, quando mai uno potrebbe fare il terapeuta? Certamente mai. Ciò che è necessario come condizione minima è la sufficiente conoscenza di Sé del terapeuta, conoscenza che passa, secondo la teoria psicoanalitica, attraverso un obbligatorio e lungo lavoro personale. Le scorciatoie nel lavoro terapeutico, non esistono e sono sempre pericolose. Occorre tempo per maturare, ogni scorciatoia è per lo meno inutile e spesso dannosa.
Di: Renzo Zambello
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Brano tratto dal libro : “Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista” di Renzo Zambello. Ed. Kimerik
Salve,
volevo chiederei..ho letto che il coinvolgimento emotivo del terapeuta è importante nella terapia,specie analitica..
ho letto su un articolo però che la relazione nn deve diventare propriamente reale..ma rimanere a livdll di transfer…per evitare una dipendenza…
ho letto qui a tal proposito..ma come è possibile.? cioè..nn si dovrebbe provare affetto verso il proprio terapeuta?
http://www.albertoangelini.it/la-dipendenza-dal-setting-psicoanalitico-e-il-cinema-2014/
Grazie
e a proposito di ciò, volevo anche chiederle: ho letto tra le risposte che consiglia di nn lasciare una terapia se c’è un conflitto in corso, mentre se questo conflitto nn ci fosse, ma la terapia è in stallo(nn c è evoluzione) per parecchio tempo..e uno comincia a pensare di cambiarla..lei suggerirebbe un cambiamento in questo secondo caso?
Graziie, le chiedo perché riguardava il mio caso
Signorina,
questa è l’ultima volta che le ripeto lo stesso concetto: io non posso entrare nel merito di altre terapia. Non ho gli strumenti né la volontà per poterlo fare. STOP
ma volendo fare lo psicoterapeuta non è meglio studiare psicologia anziché medicina? almeno si può rispondere a queste domande da signorine! ahahah scherzo! non se la prendano i medici e si consolino aggiustando ancor più millimetricamente il loro perfetto pizzetto.
I percorsi di formazione previsti dalla legge sono 2: psicologia e medicina. Personalmente credo che la prima necessità per la formazione è il lavoro personale che il futuro terapeuta deve fare su se stesso. Per gli Psicoanalisti si prevedono anni di psicoanalisi personale. Sul tema poi specifico: medico o psicologo, direi che dipende dalla richiesta del paziente. Faccio solo un esempio se il paziente soffre di un disturbo nevrotico di tipo ossessivo penso che un approccio squisitamente psicologico meglio comportamentale va benissimo. Ma, se ho un disagio depressivo, tutto il corpo è compromesso nella sofferenza, non solo psicologicamente ma anche è a volte soprattutto col corpo. Ora, avere un terapeuta che sia anche medico e possa leggere e a volte farsi carico del disagio fisico è sicuramente una ricchezza.