Neuroscienza e psicoterapia
Cosa ha a che fare la neuroscienza con la psicoterapia? In che modo poter integrare il linguaggio delle neuroscienze, fatto di cellule, di sinapsi, di neurotrasmettitori, con quello della psicoterapia? Quest’ultima si esprime attraverso la parola, la comunicazione non verbale, la relazione terapeutica. Siamo ancora prigionieri del dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, tra mente e cervello?
Lo stato dell’arte
Negli ultimi anni moltissimi contributi, sia teorici che di ricerca, ci hanno fatto uscire da queste contrapposizioni. Sono stati pubblicati libri, tra i quali ne ricordiamo qui due. Sono: L’errore di Cartesio, di A. R. Damasio e Sulla materia della mente di G.M. Edelman. Parallelamente, soprattutto le ricerche di neuroimaging, hanno cominciato a dimostrare le modificazioni cerebrali. Queste avvenivano non solo ad opera di fattori che agivano sul substrato biologico del cervello, gli psicofarmaci ma anche in seguito a trattamenti psicoterapici.
La neuroscienza e la scoperta dei neuroni specchio
In questo contesto, è da citare la scoperta, agli inizi degli anni ’90, dei “neuroni specchio”. Cellule nervose che si attivano non solo quando compiamo un’azione in prima persona, ma anche quando vediamo che altri la fanno. Vi sono almeno due implicazioni per il nostro modo di concepire l’attività cerebrale. Da un lato l’integrazione tra le funzioni motorie, percettive e cognitive delle aree del cervello. Per cui diventa troppo riduttivo considerare, ad esempio, le aree motorie della corteccia come aree esclusivamente esecutive. Su un altro versante, il sistema dei “neuroni specchio”, in quanto ci consente di “riflettere” stimoli percettivi che provengono dagli altri.
Alcune terapie non sono ancora integrabili
Contribuisce a spiegare la possibilità dello stabilirsi di un terreno di esperienza comune, all’origine della nostra capacità di agire come “individui sociali”.
Se molti passi in avanti sono stati fatti, e si continuano a fare, da parte della teoria e della ricerca, rimangono ancora abbastanza separati i molteplici mondi dell’applicazione clinica. Tra le terapie “somatiche” e le psicoterapie non si è ancora realizzata una soddisfacente integrazione.
Auspicabile una maggiore interazione fra la Neuroscienza e la Psicoterapia
In questa direzione, della possibilità di tradurre sempre meglio il linguaggio del cervello in quello della mente, e viceversa. Massimo Biondi, direttore del Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Psicologica sostiene le molte ragioni per un comune principio organizzatore delle diverse terapie. Vittorio Gallese, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, studia l’Empatia: Meccanismi Neurofisiologici dell’Inter soggettività. Gallese, che è stato protagonista, insieme ai colleghi dell’Università di Parma, della scoperta dei neuroni specchio è positivo sul futuro della ricerca.
Comprensione esperienziale diretta del comportamento altrui
Egli sostiene che è possibile conseguire una comprensione esperienziale diretta del comportamento altrui sulla base di un’equivalenza motoria. Tra ciò che gli altri fanno e ciò che fa l’osservatore. L’azione tuttavia non esaurisce il ricco bagaglio di esperienze coinvolte nelle relazioni interpersonali. Recenti evidenze empiriche suggeriscono che le stesse strutture nervose coinvolte nell’analisi delle sensazioni ed emozioni esperite in prima persona sono attive. Anche quando tali emozioni e sensazioni vengono riconosciute negli altri. È grazie alla “consonanza intenzionale” che riconosciamo gli altri come nostri simili e siamo in grado di stabilire una comunicazione inter soggettiva. Una comprensione implicita degli stati mentali altrui.
Neuroscienza e neuroni a specchio
Il particolare motivo d’interesse per la psicoterapia relazionale consiste nella fondamentale conferma offerta dalla scoperta dei “neuroni specchio”. Il ruolo centrale della relazione per lo sviluppo mentale ed affettivo dell’individuo. Infatti queste osservazioni si sono aggiunte a quelle della Psicologia Evolutiva, con la individuazione del cosiddetto Apparently Innate Mechanism. Mediante il quale i neonati riescono a riprodurre movimenti della faccia e della bocca dell’adulto dopo appena 18 ore dalla nascita. Il cosiddetto “affective attunement” descritto da Stern, che riconosce lo sviluppo di una vera e propria sintonia affettiva tra il bambino e la madre a partire dal secondo mese di vita.
Abbiamo quindi oggi sufficienti evidenze per dedurne che, nello sviluppo dell’essere umano, il ruolo della relazionalità precede e prevale rispetto a quello, della individualità.
Video. Psicoterapia, quale? del Dott. Zambello
Di Renzo Zambello il libro: ” Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista” Ed. Kimerik
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