Paura di essere omosessuale. Un problema ancora per molti

Paura di essere omosessuale

Paura di essere omosessuale. Ancora un problema

Paura di essere omosessuale. Da fastidio a pensare c’è ancora gente che ha paura di essere omosessuale  e soffre. Quando sento uomini politici, religiosi  parlare dell’omosessualità come il clero parlava delle scoperte di Gallileo nel 1500. Usare gli stessi toni che usavano con  Giordano Bruno nel 1600. In fondo cosa dicono: L’omosessualità è un errore, un peccato, immorale etc. etc. Chi “soffre” di omosessualità, almeno in Italia, non li bruciamo, impicchiamo, altrove si ma, devono curarsi.

Dicono: dall’ omosessualità si guarisce!  Orrore. Danno su danno.

Caso clinico.

Il caso che riporto è l’esempio di come una strisciante omofobia contro l’omosessualità,  generi comportamenti confusi soprattutto negli adolescenti.

Paura di essere omosessuale. Marco: omosessuale? 

Riporto questo caso perché è emblematico

di come spesso, molto spesso, noi tendiamo a spostare la nostra sofferenza su alcuni aspetti della nostra vita, alterandone la comprensione e la possibilità di risolverla. I disagi sessuali, in particolare l’omosessualità diventano troppo spesso la causa e la focalizzazione di tutte le energie. Sono convinto che tutte le tematiche della sessualità ed in particolare quelle  riguardanti l’identità sessuale  siano motivo di grandi fatiche e  a volte  sofferenze.  Diventano  un pretesto dal nostro inconscio per non evolvere e crescere.

Compito del terapeuta

Il compito del terapeuta  è di non colludere con queste fantasie manipolatorie e narcisistiche del paziente. Il caso di Marco mi sembra illuminante.

Marco si presenta come omosessuale

Marco, il nome è inventato ma la sua storia è vera, mi telefonò circa quattro mesi fa in studio per chiedermi un appuntamento.  Dopo essersi presentato mi disse  che aveva bisogno di  vedermi, di un colloquio. Guardai istintivamente l’agenda della settimana successiva e proposi un giorno che  rifiutò. Mi disse che era libero  un  martedì, dopo 20 giorni. La cosa mi sembrò un po’ strana ma  non  feci domande e acconsentii  per l’appuntamento proposto.

Primo appuntamento

Dopo 20 giorni, puntualissimo,  si presentò un giovane uomo  vestito sportivamente  con lo zainetto dietro le spalle, alto, biondo, cappelli corti a spazzola , occhiali tondi senza montatura di una  apparente età  di 27, 28 anni.  Salutandomi  mi diede la mano abbassando leggermente la testa e intanto guardava  da un’altra parte. Gli chiesi di aspettare alcuni minuti in sala d’ attesa e quando andai a prenderlo lo trovai in piedi davanti alla finestra mentre fissava  fuori.

Marco sfuggente. Perché?

Io: “ Prego si accomodi….Prego si…..”

Marco: “ Chi! io?”

Feci fatica a trattenere un sorriso, non c’era nessun altro.

Gli feci strada in studio e lo invitai a sedersi  sulla  sedia  davanti alla scrivania.

Si sedette dopo aver appoggiato lo zaino vicino alla sedia senza togliersi niente di dosso  e abbassò la testa.

Io:  “ Se si vuole togliere  il giaccone. Qui, mi sembra, faccia caldo….si sta bene.”

Marco mi guardò…  sospirò e poi si tolse il giubbotto  appoggiandolo sulla poltrona,  nel punto più vicino a me.

Marco: “ Le da fastidio?”

Io: “No, no…lasci pure.”

Mi guardò  dritto negli occhi e accennò ad un sorriso e stette a lungo in silenzio.

Io: “Mi  racconti qualcosa….quello che vuole.”

La commozione di Marco.

Marco mi guardava, gli occhi gli  si erano riempiti di lacrime, si stringeva  in se stesso come cercasse la forza per poter aprire le labbra. Si contorse quasi in uno spasmo di dolore, poi allungò lentamente  il braccio con la mano aperta verso di me.  Arrivato in fondo all’estensione  la chiuse  nervosamente in un  pugno chiuso  che riportò con uno scatto  alla fronte,  quasi ad appoggiarsi.

Compassione per Marco.

Guardavo in silenzio e provavo un profondo senso di compassione. Mi chiedevo quali pensieri gli bruciassero   dentro. Mi mostrava  il suo dolore ma non potevo far altro che aspettare che  avesse il coraggio di dargli un nome.

Marco:  Io, balbettò…sono un omosessuale.

Silenzio

Marco:  Le ho detto che sono un omosessuale, sono gay.

Io: “Ho sentito, ma non capisco.”

L’ammissione: Sono omosessuale

Marco:  “Cosa, non capisce? Io vivo dei rapporti omosessuali, vado con gli uomini. Ho avuto una donna per due anni, mi piaceva ma non provavo niente, sessualmente….  Poi ho conosciuto un ragazzo, poi altri….. ogni tanto andavo anche con le donne …ma da un anno e mezzo sto con  Patrizio.”

Perché scusarsi?

Io: “Marco mi deve scusare, ma cosa c’è di male ad avere dei rapporti omosessuali? Da anni anche noi Psicoanalisti che non siamo proprio degli innovatori, non consideriamo più l’ omosessualità come una  perversione sessuale. Il problema  che ci poniamo non è tanto che uno sia omosessuale o eterosessuale  ma che viva bene la sua sessualità. E’ evidente che lei non vive bene la sua e allora,  dovremmo chiederci perché.”

Il timore

Marco: “ Perché? Io vivo in un paesino. Lei si immagina cosa succederebbe se sapessero che vado con gli uomini, che sono gay che non sto con Patrizia ma con Patrizio. Patrizio è il mio amico, compagno…. Compagno!? Immagina mia madre?”

Io: “No, non lo immagino, non la conosco, come non conosco il suo paesino. Lei vive con sua madre?”

Marco: “ Si.”

Io:  “ Ma lei andrebbe a vivere in città con Patrizio?”

Lungo silenzio….

Marco: “ No, No, non so….forse no… ma io voglio bene a Patrizio.”

Io: “Ma non vivrebbe con lui?”

Marco: “No, penso di no”.

Io: “Cosa centra  il paesino, i genitori…e forse anche l’omosessualità, il fatto di essere, come dice lei, gay? Cosa centra il fatto di essere omosessuale con la sua difficoltà a  vivere una esperienza d’amore? Prima ha lasciato la ragazza…ora ha  difficoltà a stare con Patrizio…..”

Marco, l’ omosessualità  potrebbe non essere il suo problema

Marco mi guardava, teneva la testa inclinata in basso un po’  girata a sinistra.  I suoi occhi erano un po’ socchiusi  ma  fissi su di me. Percepivo  disappunto, un distacco pieno rabbia antica. Non poteva aggredirmi ma mi rifiutava.

L’incontro continuò  ancora una trentina di minuti.  Marco insistette nel suo atteggiamento di “ragazzo sfortunato”  e mi ripeté ossessivamente che lui era omosessuale, si sentiva omosessuale, viveva da omosessuale, amava da omosessuale.  Tentai  di mostrargli  che forse le sue difficoltà erano oltre.

Non sapevo, capivo, perché avesse così tanta paura ad amare ed avesse sostituito all’amore il sospetto, la rabbia.

Non capivo come questa  difficoltà si fosse mescolata con l’omosessualità e come lui utilizzasse quest’ultima  come uno scudo difensivo.  Mi sembrava così.

Quasi alla fine della seduta gli chiesi: “Marco, alla fine di questo nostro incontro, lei cosa mi chiede? Come posso aiutarla?”

Marco:  “Vorrei vivere un po’ più in pace con me stesso.”

Io: “Si questa è una aspirazione generale condivisibile ma,  un po’ più nello specifico, come pensa che io  possa aiutarla? Cosa mi chiede?”

Marco: “ Non lo so.”

Io:  “Senta Marco, ci pensi. Io non credo che il problema sia la sua omosessualità ma, forse, la sua capacità ad amare a farsi amare. Mi ha detto che Patrizio le vuole bene… e anche lei gliene vuole, ma… Ecco, li,  forse, la posso aiutare, a chiarire dentro di sé quel ma.”

Il saluto

Ci siamo salutati.  Marco non mi ha chiamato, sono certo provasse  delusione. Non l’avevo coccolato come un povero “bambino sfortunato”, anzi,  avevo tentato di trasmettergli che il suo star male dipendeva da lui che forse non voleva crescere. Sono  certo che  se un giorno tornerà,  sarà  un uomo che  mi chiederà di camminare a suo fianco, non di prenderlo in braccio.

di Renzo Zambello

Video: Omosessualità

http://youtu.be/L9GooDFU_sI

Contatti:

Lo studio del Dott. Renzo Zambello è in via Amico Canobio 7, CAP 28100 Novara.  Cellulare 3472282733,  Aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 19 .

 

Dr. Zambello

www.zambellorenzo.it

Medico Psicoterapeuta Psicoanalista Junghiano di Novara

6 commenti su “Paura di essere omosessuale. Un problema ancora per molti

  1. Dico tutto questo scusandomi per la mia ignoranza. E’ solo una mia opinione. E’ solo l’opinione di uno studente.

    D’accordo con lei… Penso, comunque, che “Marco” non abbia buttato fuori correttamente la pulsione sessuale (repressa nell’infanzia) nel periodo dell’adolescenza e questo lo porta a far prevalere “tanatos” a far prevalere l’energia distruttiva affliggendosi quindi ma… questa, secondo me, non è la causa dei suoi veri problemi mascherati con il fatto dell’omosessualità… credo anch’io che il problema sia un altro, e secondo me è accettare se stesso ma sopratutto accettare se stesso nella percezione di se in un contesto sociale sia ristretto/intimo (famiglia, “paesino”) sia più ampio…

    Credo che analizzare il suo modo di pensare o la sua personalità possa servire a comprendere meglio il caso, quale modo migliore di capire l’altro se non capire come pensa esso?

    Sembra evidente una forte repressione esternata con nervosismo e tensione forse un modo per rendere “malleabile” marco potrebbe essere quello di eliminare il nervosismo e la tensione… ma credo che ciò non sia facile…

    Comunque sia sembra che la questione centrale sia dovuta ad un’altra causa… e credo che una di quelle più rilevanti sia il bisogno di affetto.
    Credo che marco soffra di un bisogno di affetto da parte dei suoi genitori mai stato, ripeto che sono solo supposizioni vaghe, dato con l’amore e la passione che un padre e una madre dovrebbero dare (o piuttosto un bisogno esagerato d’affetto), causa di una richiesta implicita e molto timidamente accennata di cambiare la propria identità di genere (o trovare un modo per così dire geniale di risolvere il problema intervenendo radicalmente sull’identità di genere)… ovviamente questo, hanno spiegato in molti, è impossibile in quanto non si può cmabiare la percezione del proprio sesso… Forse la delusione di Marco dopo la seduta è stata data dal fatto che, ovviamente, lei non gli ha illustrato la via di cambiare la percezione della propria identità di genere ma per l’appunto gli ha fatto notare che i problemi erano altri.

    Ho un leggero sospetto che, qualunque sia il problema di Marco, esso non si comporti in modo usuale… forse ha represso troppo il suo problema….
    Ma.. “l’unica via per uccidere il “demone” è tirarlo fuori completamente”… La difficoltà, però, sta nel sapere qual’è, ovviamente… …

    E’ un caso interessante, la prego di aggiornarmi se ci sono eventuali informazioni extra, sviluppi o anche solo altre ipotesi e considerazioni personali perché ne sono molto interessato e sopratutto sono molto interessato a vedere come un esperto si comporta in situazioni del genere.

    Grazie, Arrivederci.
    Alberto.

    1. Gent.mo Alberto,
      il suo argomentare è interessante, E’ sicuramente suggestiva l’ipotesi di “tanatos”, se ho capito bene, Marco andandosene ha fatto una scelta di morte, Non lo so, non so chiaramente quali fossero i suoi demoni. Mi sono limitato a evidenziare la contraddizione ovvia in quello che lui diceva che a mio parere aveva solo lo scopo, inconscio, di farsi etticchettare come ammalato, cioè uno di cui prendersi cura. non volevo colludere con questa sua rinuncia a “rischiare”.

  2. Grazie di avermi risposto rapidamente.

    Ho inteso “tanatos” come un energia distruttiva volta verso se stesso, effetto della cattiva espulsione delle pulsioni sessuali represse.
    Sarebbe stato bello poter proseguire le sedute con “Marco”forse sarebbero emersi altri elementi interessanti e molto rilevanti a riguardo del problema in questione, forse anche esplicativi del suo bisogno di essere visto e preso come, dice giustamente lei, “uno di cui prendersi cura”.
    Comunque sia lasci che le faccia i complimenti per la sua professionalità, secondo ciò che ha trascritto e detto mi sembra di aver capito che in un tempo breve ha potuto, oltre che a trarre informazioni utili alla comprensione e all’analisi del caso, anche lavorare con estrema accuratezza fornendo a Marco delle buone ragioni per “rischiare”…

    Grazie mille della sua disponibilità e della sua cortezza, Alberto.

  3. Gentilissimo Dr. Zambello,
    ho apprezzato moltissimo la trascrizione del caso clinico con i suoi interventi.
    Sono pienamente d’accordo con la sua conclusione, ossia che il problema principale in questo caso non fosse l’omosessualità in sé ma l’incapacità di Marco di dare e ricevere affetto.

    Tuttavia mi domandavo se un atteggiamento un pochino più “empatico” da parte sua avrebbe potuto aiutare Marco ad allentare le sue difese e ad iniziare un percorso terapeutico.
    Rimandare, in una prima seduta, un aspetto vero ma vissuto in modo altamente conflittuale dal cliente, mi sembra eccessivo.

    Queste sono solo mie personali considerazioni che ho il piacere di condividere con Lei, senza nulla togliere alla Suo operato altamente professionale e formativo.

    Cordiali saluti,
    Gianluca Raffa

    1. Caro Collega,
      lei coglie una tematica che da sempre ha animato le società terapeutiche: i tempi per una interpretazione di un comportamento, di un atto transferale e anche di un sogno. Non lo so, capisco le ragioni di chi sostiene questa pedagogia dell’intervento ma, non ci credo. Io credo che se l’inconscio del paziente mi porta quella tematica e ma la rende chiara in quel momento, ho il dovere di restituirgliela come interpretazione.
      Certo devo essere scevro, soprattutto nei primi incontri dalla preoccupazione di tenere il paziente. So anche di quanto sia “parziale”, ciò che il paziente mi sta raccontando in quel momento ed è per questo che il mio intervento cerca d’essere, almeno spero, insaturo.

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