Uno strano caso di dismorfismo corporeo
Dario non aveva motivi per covare ansie da dismorfismo corporeo. Era un ragazzo di 24 anni, di bell’aspetto, la faccia, forse, ancora un po’ troppo da bambino veniva evidenziata da un fisico di oltre un metro e ottanta e due spalle coltivate in palestra. Mentre parlava teneva spesso gli occhi chiusi. Erano grandi o forse, spaventati e tristi ma soprattutto mi comunicavano qualcosa che non capivo. Mi chiesi se si stava annoiando o avrebbe voluto non essere li o semplicemente, chiudeva gli occhi per sparire, come fanno i bambini.
Al quinto anno di Ingegneria, già con il titolo della tesi gli mancavano due esami a finire ma, mi disse: “Non ce la faccio più. Non riesco più a studiare”.
“E’ stanco? Ha degli esami importanti, difficili ancora da dare?” Chiesi io
“No, non particolarmente”, rispose abbassando la testa “no, è che proprio non ce la faccio più.”
“Ha fatto molta fatica, in questi anni?” Dissi a bassa voce, “si sente stanco?”
“No, non molta. Non ho fatto molta fatica”.
Non capivo o meglio capivo che l’Università, lo studio non c’entrava niente. Feci silenzio.
Lui totalmente con la testa bassa fino a mostrarmi la nuca mugugnava parole incomprensibili ma mi trasmetteva angoscia e la percezione di una situazione “pericolosa”.
“Dario, Dario!” Dissi volutamente con voce impostata e un po’ alta, “ mi vuole dire che cosa le sta succedendo, perché è qui e come la posso aiutare?” Volevo farlo uscire dalla sua improvvisa regressione. Mi rivolgevo al Dario adulto che certamente c’era e che non potevo permettermi di perdere subito.
Lui alzò la testa, mi guardò aprendo gli occhi e tenendo uno sguardo fisso come a trasmettermi una richiesta di aiuto frammista alla paura, disse: “ Non voglio il naso!”
Dismorfismo corporeo: aveva il naso
“Non le piace il suo naso?” Ribattei e intanto lo osservavo per cercare di individuare dov’era per lui il problema. A me sembrava un naso normalissimo, piccolo e un po’ alla francese, armonico nella sua faccia da bambino.
“No! Non ha capito. Non voglio il naso”.
Seguì un silenzio che rispettai a lungo. Era evidente che non potevo aggiungere niente che non fosse banale e offensivo alla sua intelligenza.
“Vede,” disse guardandomi spaventato, quasi in preda ad una paura buia e terrorizzante, “io non posso più sopportare di averlo in mezzo alla mia faccia. Quando sono con gli altri, li guardo e poi, se stringo gli occhi e vedo la punta del mio naso. Io non ce la faccio. Mi da fastidio, non lo vorrei e non riesco a pensare ad altro”.
Tentai di portarlo fuori dall’ingorgo emotivo e mi raccontò che era figlio unico, che aveva avuto una ragazza fino a otto mesi prima, ma poi, il pensiero del naso lo isolava sempre di più ed ormai non usciva quasi da casa e non frequentava né amici e tanto meno l’Università. I genitori, liberi professionisti erano fuori tutto il giorno ma si erano accorti che Dario “aveva qualcosa di strano”. Così gli disse la madre un po’ di tempo prima: “Dario tu hai qualcosa di strano, vai a farti aiutare.”
Dario aveva risposto in preda ad una angoscia che aveva spaventato i genitori, urlando: “No, non ho niente, non ho niente. Smettila, smettila!”
Silenzio.
“Cosa c’è che non va Dario?” Sussurrai.
“ Il mio naso, non voglio il naso.”
Era di nuovo regredito.
Finì così la prima seduta. Ero molto incerto su cosa avrei dovuto fare. Valutavo l’idea di mandarlo da uno psichiatra. Ma, dopo alcune sedute comunicai a Dario che per quanto mi riguardava avevo deciso di prenderlo in carico.
Mi fece appena un gesto di approvazione con la testa.
Gli proposi l’utilizzo del lettino che lui accetto ma, forse non avrebbe rifiutato nulla, gli sarebbe andato bene qualsiasi cosa.
Dismorfismo corporeo o, delirio psicotico?
Ero sinceramente preoccupato. A quell’età è possibile scivolare verso derive fallimentari e il suo sintomo, questa strana forma di dismorfismo corporeo era veramente un brutto sintomo.
Pensai di utilizzare il lettino come il luogo in cui lui si poteva “concedere di delirare” senza sentirsi in pericolo. Io sarei stato dietro di lui, poi, finito, mi sarei ancorato alle sue parti adulte riportandolo ad una dimensione razionale.
Funzionò, o meglio, non sempre. Qualche volta, appena si sdraiava sprofondava nel suo lago buio e non sempre riuscivo a recuperarlo su un piano “adulto”.
Cominciò a produrre il suo delirio: il naso che lo disturbava che non voleva.
Spesso sento parlare della sofferenza mentale quasi in termini romantici. Non è così, questa è schiavitù, mancanza di speranza, buio. Ripetitività mortifera, come condannati danteschi. Sempre la stessa dolorosissima cosa.
Diceva Jung che noi stiamo bene quando siamo lontani dai nostri archetipi. Se sprofondiamo dentro c’è solo buio, come in fondo ad un lago nero.
Ma qual’era l’archetipo che aveva risucchiato Dario? Quali erano i suoi fantasmi? Che cos’era quel naso che non voleva più e perché? Cos’ era successo?
Dario non me lo raccontava, non lo sapeva, o forse, non ricordava.
Non dovevo far niente, dovevo solo aspettare. Lavorare con lui per rafforzare il nostro rapporto. Assicurarlo che io c’ero, non lo avrei lasciato mai e, aspettare con lui.
Per mesi sguazzò agitato,in preda all’ansia nel suo buio. Spesso ebbi l’impressione che le mie parole non avessero per lui alcun significato. Ero solo una voce, lontana, sulla terra ferma. Ma, forse, l’ultima speranza che era possibile non sprofondare.
Di solito, dieci minuti prima della fine della seduta, lo chiamavo per nome e gli chiedevo informazioni più dettagliate di quanto avesse fatto su un episodio della sua vita che aveva appena accennato o, riferimenti storici un po’ più in ordine da un punto di vista cronologico. Era il mio tentativo di farlo uscire dal delirio. Spesso funzionava ma altre volte taceva e io stentavo a trattenere le preoccupazione “del genitore” che teme per il figlio che non risponde. Fermavo con forza l’impulso di scuoterlo e, mal celando la mia preoccupazione gli dicevo:” Bene Dario, per oggi abbiamo finito, ci vediamo”.
Dovevo resistere, non muovermi dalla mia posizione. Non dovevo telefonargli, toccarlo, o proporgli farmaci, in altre parole: non andare nel suo gorgo.
Non era facile anche perché la sua sofferenza lo straziava.
Quando raccontava, raccontò di essere stato una bambino e poi un ragazzo fortunato. Viveva in una famiglia agiata, i genitori erano assenti tutto il giorno ma si era preso cura di lui la nonna materna che descrisse come “ disponibile ma non dolce”. Fece la scuola materna dalle suore, poi le elementari, le medie, liceo scientifico e poi ingegneria. Mai nessun intoppo.
“Non avevo nessun problema” diceva con voce triste.
“ E ora?” chiedevo io.
“Non lo so, ho paura”.
“Paura? Di cosa?”
Silenzio
Il primo sogno
Un giorno, era passato un anno dal nostro primo incontro, si sdraiò sul lettino e mentre mi spostavo dietro, lui mi seguì con gli occhi fino a spostare la testa per mantenere lo sguardo.
“Le racconto un sogno”. Mi disse.
“Certo, mi dica pure”. Risposi.
Iniziò: “Sono chiuso in bagno di casa mia. Seduto sulla tazza dove riesco a vedere, questo anche nella realtà, uno spicchio di cielo che in altre posizioni non vedo. Improvvisamente appare un aereo enorme che prima sembra impennarsi poi, come uno scoppio, una bomba e lo vedo precipitare. Io, sento le urla di chi era dentro l’aereo. Sono dentro l’aereo. Poi un rumore assordante. Capisco che è caduto non lontano da casa mia e decido di correre per vedere se posso dare un aiuto. Arrivo sul posto, c’è tanta gente, curiosi ma nessuno si muove. Mi sento terrorizzato paralizzato. Non riesco a far niente e, mi sveglio”.
Silenzio.
Dario stava piangendo.
Silenzio.
“Che sta pensando Dario? Cosa le fa venire in mente il sogno?” Suggerii a bassa voce.
“Niente, non mi viene in niente! Me lo dica lei cosa le viene in mente. E’ lei che deve interpretare i sogni, non io”. Silenzio. “E… allora? Cosa le viene in mente?”
Dario era agitato. Arrabbiato. Aveva un tono di sfida. Chiaramente ce l’aveva con me, ma su cosa? E, perché era così arrabbiato e, ancora, cosa centrava il contenuto del sogno? A me veniva in mente qualche associazione simbolica ma, lui si era chiuso in un silenzio di rabbia e stizza.
Aspettai.
Il resto dell’ora, Dario rimase immobile, a guardare avanti. Io da dietro non vedevo i suoi occhi ma me lo immaginavo, fisso a sfidare il “suo nemico”.
“Bene , ci vediamo la prossima volta”. Dissi, come alla fine di ogni seduta.
Dario si alzò e ostentando mi guardò fisso negli occhi e disse: “Come vuole lei. Per me è lo stesso.”
Gli aprii la porta e mentre usciva e lo salutavo, mi resi conto che era riuscito a coinvolgermi nella sua rabbia. Stavo pensando a cosa avesse voluto dire con quella frase: “Come vuole lei. Per me è lo stesso”.
La volta successiva arrivò una decina di minuti prima. Strano, era sempre puntualissimo. Qualche volta avevo pensato che aspettasse in strada l’orario giusto. Quando andai ad aprire la porta, forse non riuscii a trattenere lo stupore e comunque lui si scusò dicendo: “Mi dispiace, sono in anticipo. Posso aspettare in sala di attesa?”.
“Certo, si accomodi pure.” Controllai con volontà le mie emozioni.
Quando lo feci accomodare in studio, mi guardò sorridendo e disse: “ Buongiorno”
“Buongiorno” Risposi lentamente.
“Mi scusi.”
“Di cosa?” Chiesi.
“Sono arrivato un po’ prima ma, non avevo voglia di aspettare fuori”.
“Forse aveva ‘bisogno’ di vedere se ero arrabbiato?” Dissi sorridendo.
“Arrabbiato, e di cosa?” E, rise liberamente. Poi, d’improvviso un viraggio, un silenzio muto.
“ Si, ha ragione”, dissi io, “ritorniamo alle cose che la preoccupano”.
Silenzio.
“Si, si, ritorniamoci ma, io sto male, male”. Dario stava piangendo senza nessuna voglia di trattenersi.
“lo sento. Capisco che lei stia male ma, ora, se vuole, può contare su di me.”
“Si ma, io non lo so perché sto così male” Dario si era girato e allungava le mani quasi a cercare un abbraccio.
“Lo capiremo assieme”. Dissi senza fare alcun movimento.
Si girò e tornò in silenzio. Non avvertivo astio, né rabbia. Solo una nota di frustrazione per non aver accettato il suo abbraccio. Per me, era anche questo un grosso passo in avanti nel nostro rapporto. Riusciva ad accettare le frustrazioni del setting e non fuggiva.
Poi, piano piano, cominciò ad accartocciarsi su se stesso, in una maniera così strana che non potei fare a meno di spostare la testa per guardare cosa succedesse. Testa, collo, spalle, erano piegate quasi a formare una “palla unica” mentre le gambe ed il bacino rimanevano stesi, quasi arcati in alto e lui si toccava il pene.
Non dissi niente.
Lui non mi sentiva.
Mi accorsi che si era eccitato e stava per infilarsi una mano nei pantaloni.
“Cosa fa Dario?” Dissi con voce calma, quasi a non volerlo spaventare.
Lui di si raddrizzò, o meglio si srotolò e mi guardò spaventato e urlò: “ Ha visto?! Ha Visto!?”
“Cosa dovevo vedere, Dario?”
“Non lo voglio! Non lo voglio!”
“Cosa Dario, non vuole? Il suo pene?”
“No, il mio naso. Non lo voglio, Non lo voglio”
“Ma lei Dario mi ha mostrato il suo pene, le sue forme. Il fatto che fosse in erezione. E’ normale in un ragazzo. Non sempre i giovani sono capaci di governare le proprie eccitazioni. Hanno una carica ormonale potente ma, cosa c’è di male in questo?
“ Scusami! Ora mi punisci? No! No! Non punirmi”
“No. Si calmi, non ho nessuna intenzione di punirla. Non c’è nessun motivo. L’erezione del pene è una funzione, una potenzialità normale negli uomini che lei userà con chi vorrà. Perché dovrebbe darmi fastidio e punirla? Mi ha mostrato di averla e, io sono contento per lei”
“Ma ora tu mi punisci!?” Mi chiese ancora con la voce spaventata e in uno stato un po’ di confusione. “Scusami! Non lo faccio più!”
“Si calmi Dario. Non ho niente di cui scusarla. Va tutto bene. E’ tutto normale.” Gli parlavo spostando la testa verso di lui e sorridendo. “Dario! Mi segue Dario? Ma, quello non è il naso.” Dissi ridendo e cercando il suo sguardo.
Lui si girò, mi guardò , chiuse gli occhi e sorridendo disse: “Si. Ho capito, non è il naso.”
Fine del delirio
Silenzio
“Va bene, ci vediamo la prossima volta”
“Non so che dirle, ” iniziò Dario alla seduta successiva, “per la verità mi sento un po’ confuso. Direi che non so neanche bene cosa sia successo. Mi aiuti lei a capire”
“Certo. Potremmo riprendere il suo sogno, se lo ricorda? Quello dell’aereo che le appare in cielo mentre è seduto sulla tazza del suo bagno….”
“Si, si, me lo ricordo. Ma come fa lei a ricordarsi tutto?”
“Io ricordo e capisco quello che lei mi racconta. Niente di più. Cosa le fa venire in mente quell’aereo?”
“mmmmm…. Non lo so. Mi viene in mente, forse non centra niente, che io mi sono sempre masturbato in cesso. Avevo paura che qualcuno mi vedesse. Per la verità una volta mio padre mi vide che mi toccavo. Io non volevo masturbarmi. Avevo solo avuto un’improvvisa erezione mentre guardavo la televisione. C’era sia mio padre che mia madre. Mi dava fastidio e avevo infilato la mano nei pantaloni, per spostarlo. Mio padre vide e serio mi disse che quelle cose facevo bene a farle in bagno. Io mi alzai, un po’ vergognato e mentre andavo via aggiunse: ‘Faresti bene a toccarti il naso, invece di fare quelle cose’!”
“Cosa centra il naso con la masturbazione?”
“Era un modo di dire di mia nonna. Per me lei era un po’ ossessionata dal sesso. Lo vedeva e temeva dappertutto. Quando guardavamo assieme la televisione e vedeva qualche ragazza, un po’ non vestita, come diceva lei, si arrabbiava e faceva commenti pesanti e poi guardandomi mi diceva: ‘e tu, toccati il naso!’. Penso volesse dire: non masturbarti!”
Silenzio.
“Penso anch’io ma, poi, comunque appare l’aereo.”
“Cioè?”
“L’aereo è un simbolo fallico, direi tra i più diretti. Lo è nella forma, affusolata. Entra nei cieli, si impenna… li solca, e…quell’aereo , è il suo. Ora, è finalmente fuori dal bagno, ma..!”
“Già! Ma. Lo scoppio, la paura”. Aggiunse Dario.
“Già, la paura. La paura di diventare grandi. Di riconoscersi grande, adulto,” sorrido, “magari senza la pretesa ‘di averlo grande’ come un aereo”.
“Ma lei mi sta dicendo che la mia angoscia del naso è legata alla masturbazione?”. Incalzò Dario.
“No, direi all’aereo. Alla possibilità di uscire da quel cesso e solcare libero i cieli. Entrare nei cieli”
“E, perché avrei paura?”
“Beh! Questo è il lavoro che potremmo fare assieme. Ma, senza più confondersi. Guardando le cose, le paure per quello che sono. Senza negarle o, spostarle. Il pene che diventa il naso, per capirci”.
Dario sorride. “Lo sa che è la prima volta che parlo di queste cose. Mi sembra impossibile. Non avrei mai pensato di poterle raccontare a qualcuno”.
“Perché no? Non sono mica invidioso se lei va con le donne. Io ho la mia. Così come non mi dispiace se lei si laurea. L’ho fatto trenta anni fa.”
Dario sorride e mi dice: “Non capisco, tutto..”
“Abbiamo tempo. Ci prendiamo tutto quello che serve”.
Dario forse pensa che sono un po’ sciocco ma sente che ‘pulisco’, con acqua fresca, le sue antiche ferite.
“Bene Dario, per oggi abbiamo finito. Dalla prossima volta possiamo ‘ iniziare’ la nostra analisi. A lavorare assieme”.
Dario, mi guardò e si mise a ridere e disse: “Non capisco ma, se lo dice lei.”
Pensò che forse non ero sciocco, ero “matto” ma, sentiva lo potevo aiutare. Aveva deciso che avrebbe lavorato con me.
Alcune considerazioni su questo strano caso di dismorfismo corporeo.
Nel caso riportato, i contenuti corrispondono all’accaduto ma, per ovi motivi, il nome è inventato come lo sono i riferimenti logistici che a mio parere erano poco significativi ai fini della comprensione.
Dario venne da me con un sintomo importante . L’ho definito una strana forma di dismorfismo corporeo. Non era un dismorfismo corporeo nel senso classico dove Il soggetto è eccessivamente preoccupato per un supposto difetto nell’aspetto fisico, lui non voleva un altro naso, lui non voleva il naso. Era un’ idea bizzarra che però dava immediatamente la percezione del pericolo. A 24 anni si può ancora slittare verso la spaccatura dalla realtà, psicosi, e il pericolo si era già sufficientemente strutturato. Dario aveva di fatto abbandonato l’Università, tagliato i legami affettivi, rinunciato ad una vita sessuale. L’ansia e la paura lo bloccavano.
Però, era venuto a chiedere aiuto. E’ vero che non sapeva il perché, ed è vero che per mesi, quasi un anno, aveva vissuto in uno stato confuso dove io ero solo una voce lontana ma, ero la sua possibilità di salvarsi, di non sprofondare e, non mi ha abbandonato. Continuava a venire, anche dopo mesi dove apparentemente si riproponeva solo la sua ossessione. Per me voleva dire che una parte di Sé continuava ad essere sana, continuava a sperare. Una sua parte, sana ma nascosta che si manifestava attraverso il dolore. Il mio compito era solo di aspettare che lui trovasse il modo per servirsi dalla mia disponibilità.
Poi, arriva il sogno. Il suo inconscio si libera prima della mente e racconta, mostra in maniera cangiante cosa c’è sotto. Dario, prima se ne difende, “non capisce”, si arrabbia con me, poi, ne prende contatto ed inizia ad elaborarne il contenuto. Certo, c’era la tematica della masturbazione ma c’era molto di più che immediatamente Dario non capisce ed elaborerà più tardi. Ad esempio c’era il tema dell’Edipo. Il suo pene che cresce che vuole diventare adulto ma che teme la castrazione: “ lo scoppio dell’aereo”. Al sogno associa liberamente il ricordo dell’esperienza del padre che lo umilia, lo castra, perché lui aveva “mostrato” il suo pene duro, potente e , il padre che gli ordinò:” Vai al cesso. Toccati il naso”. Ci tornerò dopo su questa cosa del naso e vedremo che non è poi così folle.
Cosa succede in terapia? Prima mi porta il sogno, il suo inconscio parla e mi dice: “guarda che io ce l’ho lungo e duro. Ho voglia di solcare il cielo, di uscire dal mio cesso ma, temo che tu faccia come mio padre, mi castri, mi butti una bomba.” Non solo, “temo che poi alla fine tu non mi possa aiutare E resterò solo.” Mi riferisco alla fine del suo sogno, quando corre a portare aiuto ma nessuno si muove e anche lui è impossibilitato, paralizzato.
Io ascolto il sogno, sto zitto e lui torna alla carica, riproponendo “li e ora” davanti al padre, io, e alla “mamma analisi”, ciò che era già successo: Mi mostra il suo pene in erezione, mi sfida al duello ma cade nell’angoscia di castrazione. Ha il sopravento il delirio: “No, no, non lo voglio, non lo voglio. Non lo faccio più”, é stata la sua reazione al mio richiamo, “Dario, cosa sta facendo?” Mentre lui si infilava le mani nei pantaloni.
Ho avuto l’impressione che li, lui si muovesse su due piani diversi. Certamente quello edipico ma, contemporaneamente era regredito a fasi molto più antiche, direi quella orale. Questo lo dico perché non solo manifestava una eccessiva aggressività e conseguente paura paranoide. Ricordate? La volta dopo il sogno arriverà con dieci minuti di anticipo, caratteristica proprio della fase schizoparanoide della Klein. Nel proseguo della analisi abbiamo visto meglio come era strutturato questo nucleo regressivo, psicotico che si attivava proprio all’immagine “del naso”.
Nella fase orale, il bambino non ha una consapevolezza degli organi genitali. Questa verrà dopo, molto dopo. In quella fase lui, tutto il corpo del bambino è “erotizzato” in particolare, la bocca e quello che gli sta sopra, appunto: il naso. Forse non è un caso che gli esquimesi si “bacino” strofinandosi il naso. Comunque sia, qual era il messaggio dalla nonna e poi fatto suo dal padre? “Tu non devi crescere, non devi utilizzare il tuo pene, devi rimanere bambino, tornare alla fase orale. Al naso.”
D’altra parte il naso è spesso utilizzato come un “simbolo” fallico: ficcarci il naso, avere un buon naso, un naso importante etc. Ma, il messaggio che arrivava a Dario che lui aveva introiettato era: ” non pensare di utilizzare il pene, accontentati del tuo naso, cioè, resta bambino, altrimenti, ti faccio saltare, ti castro”.
Non è che Dario nella sua vita non avesse fatto e affrontato delle fatiche e fosse evoluto. Ricordiamoci che era alla fine del suo percorso per diventare Ingegnere e aveva avuto dei rapporti affettivi – sessuali. Anche nel sogno racconta una sua evoluzione interna. Era passato da una fase orale a quella successiva: anale. Nel sogno, Dario vede, seduto sulla tazza del suo cesso l’aereo ma, poi non ce la fa. Teme, ha paura.
La storia di Dario é’ proprio l’esempio di un nucleo psicotico, rimasto silente, difeso per anni che improvvisamente scoppia e pervade tutto l’Io
Ci possiamo chiedere come mai, proprio ora a 24 anni, scoppia il suo nucleo psicotico e si manifesta il delirio sotto dismorfismo corporeo? Il seguito della terapia spiegherà molte cose ma c’è un dato che mi era sembrato significativo fin dall’inizio: Si stava laureando. Stava diventando di fatto “adulto”. Forse temeva che non avrebbe più potuto “nascondere il suo pene”, la sua potenza e il pericolo era grande e non era più evitabile.
Una mia ultimissima riflessione sul transfert che Dario riesce a riconoscere dopo la “catarsi” che fa seguito al sogno. Non è un transfert positivo. Non mi sta vivendo come un padre positivo ma, un padre po’ sciocco e un po’ folle. Mi si dirà che è poco. No, non lo è, è sempre un transfert che permetterà di leggere, interpretare, fare analisi. Si, un po’ faticoso per il terapeuta ma, c’è qualcuno che pensa che il mio lavoro, come quello “dei padri e delle madri” sia facile?
di: Renzo Zambello
Di Renzo Zambello il libro ” Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista “ Ed. Kimerik
Contatti:
Lo studio del Dott. Renzo Zambello è in via Amico Canobio 7, CAP 28100 Novara. Cellulare 3472282733, Aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 19 .
Caro Renzo, ho trovato il racconto interessante e appassionante… oltre che affascinante da un punto di vista più squisitamente intellettuale. Mi ha colpito molto il fatto il rapporto naso/pene, e il fatto che un’angoscia di castrazione edipica celasse in realtà un nucleo psicotico più profondo e che pertanto non vi muoveste più nel registro nevrotico…bensì nel lago oscuro e disperato della deriva psicotica… ho capito bene? Ho una perplessità: non capisco come sia possibile che dietro all’angoscia di castrazione edipica, si nascondesse un nucleo psicotico…voglio dire: il sogno e i suoi connotati fallici, i ricordi della nonna che inveiva contro le ragazze poco vestite e contro il sesso, esortandolo a toccarsi il naso, come anche il padre che lo ammonisce dicendo di fare quelle cose nel cesso e di toccarsi il naso, sembrano più ricordi di una memoria edipica… come mai quest’uomo è scivolato in questa deriva psicotica, creando quella pericolosa equazione simbolica kleiniana (naso = pene)? Mi sarebbe sembrato più “normale”, stando ai sacri testi, che sviluppasse un sintomo nevrotico…invece scivola nella psicosi, ad un’organizzazione psichica della fase orale, o schizoparanoide… francamente non capisco bene questo passaggio…puoi aiutarmi a chiarirlo?
Caro Alberto,
grazie sei molto gentile. A proposito del nucleo psicotico, precisando anzitutto che queste immagini sono degli “artifici”, delle metafore che noi utilizziamo per capirci, immaginare meglio. Nessuno, penso, possa veramente credere che noi siamo fatti in inconscio, Io, super-Io etc. E’ chiaro che sono sempre delle semplificazioni. Però, dando per scontato questo, a proposito di Dario mi è sembrato di trovarmi davanti ad un ragazzo, dove una parte era cresciuta, l’università, la ragazza ma un’altra era rimasta “nucleata” ad un livello molto antico, fase orale. La parte più adulta ha potuto crescere fin tanto che una sua ulteriore evoluzione avrebbe aggredito la difesa del nucleo. Il nucleo prevedeva di rimanere bambino ed era antitetico alla pur presente istanza di crescita. La rottura dell’equilibrio ha portato alla pervasione del contenuto del nucleo che ha invaso e bloccato l’Io.
Qual era la difficoltà interpretativa, almeno per me. Tutti e due, sia il nucleo che la nevrosi avevano apparentemente lo stesso contenuto: pene-naso. Questa interpretazione dinamica di quanto è accaduto, almeno per me, trova conferma teorica in Glover il quale sosteneva che l’Io si costituisce a partire da un certo numero di nuclei separati. Questi si strutturano durante lo sviluppo fino a fondersi per formare il senso continuo dell’identità personale. Evidentemente in Dario questa “fusione” non era possibile e si presentava la tragica possibilità di una regressione di tutto l’Io.
Vedi, Glover: I fondamenti teorici e clinici della psicoanalisi.
Una splendida lettura, senza dubbio, e probabilmente fruttuosa da un punto di vista clinico. Mi chiedevo se, rispetto alla deriva psicotica, fossero presenti fantasie persecutorie o fusionali, o se a livello anamnestico fossero emersi degli elementi che in letteratura sono ricondotti alla genesi delle psicosi (penso a una “grande madre antropofaga”, con i suoi aspetti di fusionalità arcaica, o a una comunicazione paradossale in famiglia…). Mi ha colpito, tra l’altro, che se non ho letto male emerge il ricordo del padre (che attivamente esorta il ragazzo a fare quelle cose nel cesso e che lo esorta a toccarsi il naso) e della nonna (paterna? con la sua tendenza a demonizzare la sessualità…)…ma la madre? Penso che quello sia un elemento interessante per chiarire un po'(forse) l’aspetto del funzionamento psicotico…
Salve, vorrei fare una domanda: più che parlare di nucleo psicotico ecc. si potrebbe vedere questo disagio in termini di archetipi dovuti ai condizionamenti religiosi, in virtù dei testi sacri?
Quando Dario si affaccia alla vita da adulto, sviluppa un disagio che sembra in lotta con la società, e vengono fuori prepotentemente quei condizionamenti depositati nell’inconscio collettivo, come a “chiarire” come si debba affrontare la sessualità e la vita adulta, lontano dalla visione “castrante” religiosa che per millenni tutti abbiamo interiorizzato per via dei testi sacri in cui a mio avviso sono contenuti diversi archetipi.
Il perchè arrivi il disagio e il perchè in quel periodo non si sa magari, ma in lui esce fuori, e nel sogno si nasconde il desiderio, il bisogno di punizione di punizione dovuta al senso di colpa inconscio celato nell’inc. collettivo.
In lui viene fuori, qualcosa si è smosso, in rotta con la società, e lui lo riprende collegandolo ad una frase del padre, trasfigurazione di Dio.
Il naso appare da subito simbolo fallico ma l’aereo potrebbe essere visto come “ciò che viene DALL’ALTO per punirci”, e nasconde proprio non il desiderio di solcare i cieli, ma il desiderio di punizione appunto che dicevo e l’angoscia derivante.
Come la vedete in quest’ottica, di “disturbo che salva”? dott. Renzo e Alberto? Abbiamo tutti questi “archetipi”, Dario è particolarmente propenso a lasciarli uscire fuori, nessuna psicosi, che ne dite? A me viene in mente così, grazie anticipatamente per la risposta
Gent.mi Alberto e Robi,
non so proprio se riuscirò a rispondere alle vostre interessati osservazioni.
Però sono abbastanza tranquillo perché il mio compito non è di dare delle risposte ma di dire quello che penso e da dove sono partito. Ho l’impressione che sia in Alberto che Robi partano dal presupposto teorico, condiviso peraltro da molti che l’Io di formi come un continuum che partendo dall’inconscio, piano, piano si struttura fino all’Io contenuto, appunto, dal Super-Io.
Da questo l’osservazione di Robi, se il Super-Io è troppo opprimente, la persona non può svilupparsi e ne nasce la nevrosi. Alberto dice, se le tappe sono quelle: orale, anale, genitale, Edipo etc, nel momento in cui “regredisco”, passerò inevitabilmente attraverso il cammino che ho seguito. Questa volta a ritroso e avrò una nevrosi, fino ad arrivare agli stadi più regressivi cioè quella fusionale, la fase orale etc, dove tutto è fuso e confuso e, poi la rottura, la psicosi.
Ne consegue: ho sei psicotico o sei nevrotico. O l’uno o l’altro.
Per quello che ho capito io, anche da Dario, le cose non funzionano così.
Nella risposta del 23 giugno ad Alberto, facevo accenno alla teoria di Glover.
Ecco, io penso che funzioni proprio così. Cosa vuol dire teoricamente ma soprattutto clinicamente, per come la vedo io? Che abbiamo, sempre, dentro di noi sia “nuclei” nevrotici che psicotici che non sono evoluti come invece hanno potuto fare altre parti fino all’Io. Per intenderci, durante l’analisi e possibile vedere, venire a contatto con “nuclei” di ogni tipo di nevrosi e anche, molto spesso, psicotici, Poi spiego cosa intendo per psicosi. Vuol dire che quella persona è nevrotica rispetto a tutto? No. Se c’è una cosa la psicoanalisi ci ha insegnato con certezza e proprio questa: Non è la qualità ma la quantità che fa la differenza.
Ritornando al concetto “nucleo” psicotico. La definizione io la troverei su due piani: quello clinico e quello psicodinamico. Su quello clinico forse non ci dovremmo troppo soffermare, mi sembra che Dario esprimesse un pensiero psicotico. Il problema è:come si era formato? Credo che l’eziologia di questi nuclei, la natura di questi nuclei sia quella che Eugenio Gaburri chiama la “materia indifferenziata”.
Che cos’è la “materia indifferenziata”? Per capirlo ci dobbiamo rifare a Bion. Bion ci ha spiegato che il bambino produce cacca, pipì, aggressività e, la mamma, prende tutto questa parte “cattiva” del bambino, la “elabora” e la ridà come cibo buono. Ad un certo punto però, non tutta la “parte cattiva” prodotta dal bambino viene elaborata dalla madre e una parte, un “nucleo” rimane dentro il bambino. Cioè, rimangono parti, nuclei di indifferenziato. Indifferenziato vuol dire non funzionale ma potenzialmente utilizzabile in ogni direzione e modo. Ecco alla domanda di Alberto: dove sta la madre? È nella genesi del nucleo stesso ma non è leggibile nella sua storia perche fuso con essa. Ora se la “quantità”, la grandezza di questi nuclei è compatibile che una sufficiente evoluzione dell’Io, questi presumibilmente rimangono silenti per tutta la vita, a meno che uno non vada in analisi. Costano da un punto di vista della crescita, certo che costano, come costa da un punto di vista organico, a livello del sistema immunitario un granuloma ma, “l’equilibrio” si può mantenere per tutta la vita. In Dario questo non era possibile. La consistenza del nucleo impediva una ulteriore evoluzione: la soluzione dell’Edipo. Il contenuto che poi Dario fa, riempiendo di elementi fallici il contenuto psicotico, il naso-pene, è un artificio, inconscio, reso possibile, dalla totipotenza del nucleo psicotico., utilizzando una frase, di per se insignificante: toccati il naso
Capisco che le domande di Alberto e Robi portano molto, ma molto altro ma, per il momento mi fermo e spero di non essermi perso. Se così è stato, sono certo che mi aiuterete.
grazie dott. Zambello per la sua esauriente risposta su ciò che l’ha portata a tutte le sue considerazioni del caso. Mi piacerebbe conoscere il suo parere sul mio punto di vista, che vede la cosa da un’altra prospettiva, quella degli archetipi che dicevo contenuti e, originati, secondo me dal racconto_favola per eccellenza, la Bibbia, che non può non aver influenzato appunto ed aver costituito terreno fertile per gli stessi.
Quindi che non riguarda soli il singolo caso, che può essere visto anche così, ovviamente sempre secondo il mio personale punto di vista:)
Caro Renzo, grazie per la risposta… in effetti immaginavo che la dimensione del materno avesse a che fare con il nucleo psicotico… mi colpisce quel che scrivi a riguardo: “È nella genesi del nucleo stesso ma non è leggibile nella sua storia perche fuso con essa”. A livello anamnestico nulla è emerso della madre? Non compare niente nelle fantasie deliranti dell’uomo che aiuti a comprendere il rapporto con il materno? Penso che elementi del genere sarebbero interessanti e arricchenti per meglio capire la natura di quel fenomeno che chiamiamo nucleo psicotico…
Cara Robi, in genere io sono portato a pensare che un sintomo (nevrotico) “salvi”, nella misura in cui diventa un segnale coglibile a livello cosciente che qualcosa nella nostra vita non funziona… una parte di noi che ci chiede di poter essere riconosciuta e, possibilmente, integrata… nell’ambito della deriva psicotica, non sono più così convinto della funzione “salvifica” del sintomo… inoltre, è molto affascinante la tua lettura, che coinvolge elementi archetipici relativi alla dimensione religiosa… personalmente, sono un po’perplesso, nella misura in cui, stando a quanto riportato dal Dott. Zambello, io non leggo riferimenti religiosi da parte del paziente (non a livello anamnestico, nel senso che l’educazione “castrante” rispetto alla dimensione della sessualità è possibile che tragga i suoi fondamenti nella matrice religiosa giudaico-cristiana, ma non compaiono verbalizzazioni paterne o della nonna tipo “Dio ti vede” o “è peccato”, stando a quel che ho letto; non so a livello simbolico, se il paziente porti particolari pensieri, fantasie o convinzioni deliranti circa la Giustizia Divina). Rischiano, a mio avviso, di diventare nostre interpretazioni, a discapito dei contenuti portati da Dario. Naturalmente, è solo un parere personale…
Caro Collega Alberto, tu sai bene che quando portiamo un caso facciamo delle scelte, necessariamente selettive per evidenziare alcuni aspetti, certo, a scapito di tanti altri. Solo una trattazione lunga e forse anche un po’ noiosa potrebbe tentare di evidenziare un po’ tutte le dinamiche interne, o forse, neanche. Un’esperienza così ho potuto sperimentarla nelle super-visioni, ma sono esperienze uniche. D’altro canto, se è vero quello che diceva Davide Lopez che noi dobbiamo stare davanti al paziente e, lo sai che faceva l’eco a Bion, “da preconscio a preconscio”, devi a priori rinunciare all’idea di “capire tutto”. Detto questo, tu hai ragione: la madre. La lettura in analisi del suo rapporto con la madre è stato fondamentale per l’evoluzione . Ti racconto un aneddoto: dopo alcuni mesi dal sogno, tanto per capirci, la madre di Dario si ammala gravemente e viene ricoverata in una reparto di un ospedale. Ha bisogno di assistenza quasi 24 ore su 24. Il padre non può abbandonare il lavoro, Dario la assiste quasi a tempo pieno. Come puoi immaginare sono emersi vissuti, pensieri che sono stati importantissimi per capire, dare dei contenuti a quel “nucleo psicotico”. Però, ma forse sbaglio, ho sempre l’impressione che il dare “un nome”, una spiegazione al materiale “psicotico” sia un artificio, forse necessario in terapia ma, pur sempre un artificio. Crei col paziente “un racconto” che, devi sapere, è vero solo li. Ti dicevo che il “nucleo psicotico” è composto di materiale totipotente, indifferenziato e si i è strutturato in un momento dove non c’era pensiero, né ci può essere memoria. Che ti posso dire? Nel caso di Dario, io ci credo poco che la via, l’unica via, fosse quella di lui che alla fine ha potuto “pulire il culetto” a sua madre e così magari ha ri-vissuto il “contenuto” di quel gesto dal quale non si era mai staccato. Può darsi. Preferisco pensare, che una volta rotto le difese che isolavano il nucleo, una volta che questo pervadeva l’Io bloccandolo, come in Dario, l’esperienza transferale “buona” che lui fa, si concede, con “mamma analisi”, qualunque sia poi il “chiacchiericcio” gli permette di uscire, elaborare, trovare una via diversa da allora. Si lo so, in questo sono molto kleiniano. Poi, raccontiamoci quello che vogliamo ma, sapendo che è “la nostra verità”.
Gent.mo Robi, ha ragione Alberto, nel caso specifico di Dario, durante tutta l’analisi non ho letto una particolare nevrosi rispetto ad una educazione cattolica. Non mi è sembrato proprio che l’ avesse avvertita come particolarmente “castrante”. Lei mi ci ha fatto pensare, sono dati che risalgono armai a una decina di anni fa ma, credo di ricordare che Dario fu battezzato ma non fece neanche la cresima. Cosa diversa invece sono gli “archetipi” . Se ho capito bene la sua domanda, lei sostiene che gli archetipi sono indotti dalla religione. Non è proprio così. Scriveva Mario Trevi nel libro “Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia” di Jung e Kerényi “ Gli archetipi sono strutture intemporali e rappresentano le modalità fondamentali dell’esistenza profonda di ogni individuo umano”. Si dia pace, se non ci fosse Dio, ci sarebbe Allāh, Budda e il nirvana, prima c’eraZeus. Siamo fatti così.
Alberto, mi fa piacere che tu abbia parlato della mia interpretazione. Io credo però che tu non abbia inteso. I contenuti di cui parlavo sono in relazione ad archetipi facenti parte dell’inconscio collettivo, che abbiamo interiorizzato nel corso di millenni per via dell’influenza sociale, come dicevo, della visione religiosa. In questo caso specifico che riguarda puramente la sessualità.
Come dici tu l’idea di punizione, ecco volevo proprio intendere questo, il senso di colpa inconscio e il relativo bisogno di punizione che non può che derivare appunto da questa visione religiosa, tanto cara al cristianesimo, da dove dovrebbe derivare altrimenti? Il fatto del padre del ragazzo in questione, il fatto cioè che lui abbia correlato le parole del padre “sul naso” avviene proprio perchè il padre rappresenta la trasfigurazione di Dio. Quindi per risponderti, non sono da evidenziare contenuti religiosi, a livello simbolico, ma i condizionamenti rilevanti da tutto ciò, o meglio la causa celata, che io chiamo appunto “condizionamenti”.. Pensa a quanti archetipi siano contenuti e a mio avviso addirittura originati dai testi sacri (mal tradotti e mal interpretati dato che nella traduzione originale ebraica non troviamo nessun peccato relativo alla sessualità e nessuna donna artefice dalla cacciata dell’umanità da un presunto paradiso, questo per ciò che concerne la Genesi, e la favola di Adamo ed Eva) . Come dice Jung le fiabe e i racconti sono l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo, perchè mai dalla “favola” più conosciuta non dovrebbero risultare condizionamenti , pensa all’influenza nel corso dei millenni. Dario manifesta il senso di colpa legato alla masturbazione, alla vita sessuale in genere e sappiamo bene quanto la sessualità sia stato resa “peccato” dal cristianesimo. Io credo che si dovrebbe andare oltre, oltre al sintomo, tu ti sei soffermato sul discorso del nucleo psicotico, io ho provato a guardare oltre a questo discorso, oltre al sintomo. Pensa a quanto ciò gravi sulla sessualità della donna, da sempre schiacciata dal fallocentrismo, per quanto riguarda la donna infatti credo che molti dei disagi tipicamente femminili siano dovuti a questa visione religiosa, l’isteria un tempo, e i DCA oggi, ma questo è un altro discorso…quando ho scritto in risposta al dott. Zambello “più che nucleo psicotico” non intendevo negare l’esistenza dello stesso, ma guardare oltre, non mi soffermo, per riportare la tua frase “sui delirii” del ragazzo, io credo anzi che lui sia particolarmente incline a sviluppare questo disturbo in quanto in lotta con la società, proprio, come dice il dott. Zambello, nel periodo in cui sta diventando un uomo indipendente e si sta per laureare, ecco perchè dicevo “disturbo che salva”.
Che bello! Stavo preparando la risposta e ho visto che Robi aveva già aggiunto una nuova considerazione.
E’ vero Robi, noi facciamo i conti con una società sessuofoba, molto meno di prima per la verità che “impone” le sue categorie valoriali. A parte che in questo non c’è solo il negativo ma, comunque, noi non ci possiamo proprio fare niente. Intendo dire, non è compito dell’analisi fare delle valutazioni sociologiche o antropologiche, se pur vere. Noi dobbiamo, in terapia dobbiamo fermarci a vedere qual è la nostra risposta ad una determinata realtà. Quale è stata e, se è possibile, vederne una diversa. Stop. Ogni travasamento su piani diversi da quello puramente intra-psichico è per lo meno inutile, in analisi.
mi fa piacere la sua considerazione dott. Zambello, in effetti sono condizionamenti che ci portiamo da millenni,. Trovo che sia un bel dibattito infatti che il suo caso e le sue osservazioni hanno suscitato. Mi permetto tuttavia di aggiungere che l’analisi può e deve fare molto però in merito, perchè se si parla di archetipi appunto, e mi fa piacere che abbia inteso il mio punto di vista, non parlerei solo di società sessuofoba, ma di senso di colpa e degli effetti che io vedo anche nel caso qui presente, e causa di molti dei disagi psichici, sia femminili che maschili, seppur diversi ma con un’origine simile.
In Dario io li ritrovo, e soprattutto in molte donne, tra cui le isteriche di una volta, e quando, per dirla volgarmente, “si smuove” a livello inconscio ciò e arriva il sintomo, compito dell’analisi è affrontare tutto ciò, e cercare anche di andare in altre direzioni, non solo quella della scuola classica, per così dire.
riguardo al discorso del caso specifico ora, e leggendo le ultime righe a me rivolte nella sua precedente risposta, ovviamente lei ha affrontato il caso, e ne sa i particolari, io lo riconduco, e non tanto a seconda della manifestazione , a questo discorso che non vuole essere analisi sociale, ma che parte dal presupposto di quanti dei nostri disagi, di molte nevrosi ecc., dato che si parla per come la vedo io appunto di archetipi e di inc. collettivo derivino da ciò.
quindi non un’educazione cattolica del singolo, ma archetipi, non ha importanza se Dario abbia ricevuto un’educazione di un certo tipo, perchè si parla di inc, collettivo.
Basti pensare anche ad altri malesseri legati persino agli avi (e alla relativa sindrome) per uscire dall’ottica del visionare ogni caso come singolo appunto.
Si io affermo che questo genere di archetipi siano non solo contenuti nei testi sacri, ma che siano originati. Ho riportato Jung prima per evidenziare come siano contenuti in tutti i racconti e favole, io dico che non sono solo contenuti, ma nel caso della Bibbia, siano originati e ciò è avvenuto nel corso ovviamente dei millenni, e le conseguenze sono in tutti noi, non certo solo per i religiosi, partendo dal presupposto che il testo sia terreno fertile per la loro formazione. Un testo fallocentrico, in cui la donna è vista come sottoprodotto maschile, figlia di un uomo ( Adamo ed Eva, la favola più conosciuta). Per brevità non elenco tutto, anche perchè il caso specifico riguarda una persona di sesso maschile, in cui vedo i tratti del senso del peccato riguardo alla sessualità tipico religioso, ch e non ha solo Dario, nè solo suo padre, così come suo nonno ecc, da qualche parte dovrà pur arrivare no? Spero di approfondire ancora la cosa, e continuo a dissentire solo su questo, come credo che avrà capito, non su tutto il resto ovviamente, ma credo sia d’obbligo provare sempre a guardare le cose da più angolazioni, e non rimanere ancorati, per cui la ringrazio
P.S. no ha importanza il nome di un dio, è cmq sempre la trasfigurazione del padre.
che sia allah o un altro. Zeus è uno degli dei (infatti nella traduzione originale della Genesi si parlava addirittura di elohim, e non di un dio) .
Interessantissimo articolo Dott. Zambello, grazie
Mi riuscirebbe a dare qualche delucidazione in più in merito alla fase schizoparanoide della Klein, o meglio a come lei abbia collegato in questo caso specifico di ‘Dario’ il suo arrivare in anticipo all’appuntamento con quella fase?