Freud e Jung, quale analisi?

Rossella Valdrè, psicoanalista freudiana, e Renzo Zambello, psicoanalista junghiano, si confrontano sui maestri, sulle scuole, sulle nevrosi, su transfert e controtransfert, sulle parole e i silenzi, sui rischi che si celano dietro una professione affascinante e …complicata

Davide D'Alessandro

filosofeggiodunquesono@gmail.com

Quale analisi?

Li ho conosciuti attraverso i loro libri. Di Rossella Valdrè, freudiana, ho letto prima La morte dentro la vita. Riflessioni psicoanalitiche sulla pulsione muta, poi Sulla sublimazione. Due splendidi libri. Di Renzo Zambello, junghiano, ho divorato Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista. A entrambi ho chiesto di rispondere, da una prospettiva diversa, a venti domande identiche per aiutare il lettore a comprendere che cosa accade dentro la “mitica” stanza e chi sono davvero le due persone che hanno deciso di partire per un lungo “viaggio”.

Che cos’è e a che cosa serve l’analisi?

Rossella Valdrè: Resterei fedele alla definizione freudiana: un metodo di conoscenza e di cura che ha, unico tra tutti gli strumenti di cura, per oggetto l’inconscio. A livello individuale serve, o dovrebbe servire, a metterci in condizione di conoscere noi stessi, secondo il principio socratico, e in base a questa accresciuta conoscenza dirottare diversamente le nostre scelte e la nostra posizione nel mondo; serve a ridurre le rimozioni e quindi i sintomi nevrotici, che sono frutto della rimozione; questo apre il grande capitolo dell’analisi oggi, epoca in cui le patologie da rimozione, a differenza dei tempi di Freud, sono meno frequenti. Ma questo è un capitolo a sé. Vorrei dire che la psicoanalisi non si limita a essere una cura, essa é una Weltanschauung, una visione del mondo, con la quale possiamo interpretare e dare senso ai fenomeni collettivi, sociali, artistici. Alla domanda se si tratti o no di una scienza, altra questione dibattuta, direi che la trovo una questione oziosa: non abbiamo bisogno che la psicoanalisi risponda a requisiti scientifici. A mio parere, è più vicina all’arte che alla scienza.

Perché tanti anni fa decise di affidarsi a un analista?

R.V. Personalmente, avevo due ragioni. Diventare a mia volta analista, dopo la specializzazione in Psichiatria, e curarmi. Curarmi e conoscermi. All’inizio la spinta terapeutica (sono sempre stata un soggetto piuttosto depresso) era la maggiore, col tempo il desiderio di conoscenza ha avuto il sopravvento.

R.Z. Per due motivi. Il primo era che avevo bisogno, stavo male. Il secondo, a sedici anni avevo capito e deciso che nella mia vita averi fatto lo psicoanalista.

Come scelse i suoi analisti?

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