Natura umana, l’ombra Junghiana.
La natura umana fa i conti con l’ombra junghiana e la psicoanalisi. Non vi nascondo un certo disagio ad affrontare, a una tematica così fondamentale nella storia di tutto il pensiero filosofico. Quelli che seguono sono alcuni pensierini dopo aver letto “Condizione umana contro ‘natura’” di A. Cavaredo e J. Butler e “Natura umana e psicanalisi” di S. Argentieri. Gli autori si chiedono chi è l’ uomo, cosa cerchiamo? Che paradigmi sceglie la psicanalisi di fronte ad un uomo così poco umano? Cosa è rimasto dell’umanità?
Pensieri
Personalmente avrei preferito leggere, meditare quello che questi padri della filosofia e della psicanalisi mi dicevano e lasciare che il tempo portasse frutto.
La consapevolezza della mia pochezza di pensiero mi imbarazza e si accentua soprattutto se devo ammettere a me stesso che in buona parte non sono d’accordo con loro. Certo condivido l’analisi storica e sociologica che vede l’uomo fare i conti con la propria aggressività tanto da averlo trasformato in “ inumano” cioè che ha perso la sua natura umana.
L’uomo inumano.
Mentre la categoria non umano, Aristotelica, serviva a differenziarlo precipuamente dagli animali, inumano è un attributo dell’uomo. Il carnefice di Auschwitz non era “sceso dalla luna”, era “un padre di famiglia” che in quella situazione storica, davanti a quella vittima ha potuto esprimere qualcosa di se.
Natura umana: rapporto carnefice vittima
Ricordo un film della Viviana Cavani: “Il portiere di notte” che analizza bene questo rapporto aguzzino-carnefice, dove l’uno ha bisogno dell’altro per esprimersi, dove l’uno è complementare all’altro e interscambiabili. Risultato: l’aggressività e la capacità distruttiva, come dice Butler, sono parti integranti della condizione umana.
Se questi sono i risultati dell’aggressività, la psicanalisi dicono gli autori, che ha la pretesa di studiarla “scientificamente”, da oltre 100 anni, sembra non avere aiutato a migliorare la “Condizione umana”.
L’aggressività della Argenteri.
La Argentieri fa alcune distinzioni a proposito dell’aggressività e dice che prima dell’odio conscio rivolto al nemico sul quale forse la psicanalisi non può fare niente , c’è una aggressività immatura, primitiva e narcisistica. Lì la psicanalisi può rivolgere i suoi strumenti.
Il problema è se questa aggressività primaria appartiene alla natura umana o all’ambiente.
Questa diatriba mina alla base la “grandezza dell’umano”. In fondo se non è neanche più responsabile delle sue miserie tanto meno lo sarà delle sue grandezze. Dice la Argentieri: il suo Io conscio aveva già subito almeno tre insulti narcisistici, il primo con Copernico, non era più al centro dell’Universo. Il secondo quello darwiniano , si ritrovava a non essere molto diverso dagli altri animali. Il terzo quello freudiano che lo vedeva schiacciato sotto un greve super io e in balia delle pulsioni dell’Es.
U. Galimberti
Anche U. Galimberti sostiene l’ assoluta inadeguatezza del rimedio psicanalitico. Lui dice che l’immagine di “ psiche” di cui l’analisi dispone è costruita sull’ immagine dell’uomo pre-tecnologico. Galimberti sostiene che dopo l’evento della tecnologia l’uomo ha perso ogni riferimento strutturale, non esiste più ricco e povero, super io ed io, ma tutto si modella e dipenda da una “alteralità”: la tecnologia.
“Dio è morto”
L’assioma di Nietzsche è stato portato all’estrema conseguenza: è morto anche il dio dentro di noi. L’uomo che viene descritto sembra oppresso o da sintomi di una imminente implosione o destinato a disintegrarsi da una forza centrifuga che lo porterà a scomparire nell’Universo, nel tecnologico.
Qui sento la mia pochezza davanti a tali tematiche e sperimento una forte inadeguatezza. Ma come analista e junghiano tento di esporre un pensiero “pragmatico” che giustifichi la mia speranza.
Alcune considerazioni personali.
Anzitutto non sono d’accordo con l’affermazione che l’annalista abbia dei paradigmi in testa e accolga il suo paziente confrontandolo di volta in volta con queste preconcette categorie.
Non è vero, non c’è alcuna valida categoria scientifica. Ci possono essere dei preconcetti personali, dei residui limitanti del vissuto di ogni singolo analista.
Non ci può essere, in psicanalisi una teoria “scientifica” che ci spieghi chi è l’uomo, come si sviluppa, come cresce. Jung questo lo aveva capito, per questo non voleva fondare una scuola.
Certo tutto ciò pone un problema clinico difficilissimo: come avvicinami ad un paziente, un uomo, così unico, ed aiutarlo?
La psicoanalisi in rapporto con la natura umana
A me sembra che Jung abbia dato delle indicazioni cliniche precise: la “coinfezione”.
Se vuoi guarire, aiutare uno a trovare la sua strada devi coinfettarti con lui, fonderti con lui, come il metallo nel crogiolo. Questo pone certo il problema della formazione del terapeuta, che il terapeuta si sia fatto precedentemente analizzare.
Ma ciò su cui soprattutto non sono d’accordo è il concetto di uomo.
Ne esce un uomo che ha perso l’anima, o perché l’impulso aggressivo l’ha distrutto, o perché si sta disintegrando sottoposto alla forza centrifuga della tecnologia.
Considerazioni finali.
Alla fine di questi miei pensierini, permettetemi di proporvi una metafora religiosa. Siamo alla fine del Venerdì Santo, Gesù è già stato condannato, si appresta a salire sul Calvario, lì dove dovrà morire e portare a termine la sua Missione. Contemporaneamente ci sono altri due personaggi che hanno vissuto la loro “miseria”: Pietro e Giuda. Il primo l’ha tradito tre volte, il secondo una. Il primo “incontra” gli occhi di Gesù e si “vede dentro”, misero, povero ma simile a Lui. L’altro crede solo alla sua aggressività e morirà impiccandosi e spargendo le sue viscere sul terreno.
Io credo che se diamo credito solo alla nostra aggressività, alla nostra natura umana. all’ombra e non riconosciamo “gli occhi di dio” su di noi, in noi, faremo la fine di Giuda.
Paradossalmente mi sembra che poniamo il tema junghiano capovolto.
L’individuazione non passa più attraverso l’ auto consapevolezza della nostra “ombra”, ma nel riconoscere la “luce” che è in noi.
L’analista non è solo l’uomo che aiuta il paziente a farsi carico della sua “croce”, è anche colui che è sicuro della “pasqua” perché la conosce.
di: Renzo Zambello
Video correlato: http://youtu.be/tHeLePN6PbM
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http://www.psicoterapiadinamica.it/index.php?s=aggressivit%C3%A0
http://www.psicoterapiadinamica.it/2012/03/aggressivita-impulso-vitale/
Di Renzo Zambello il libro ” Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista “ Ed. Kimerik
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