Psicoterapia dinamica e cognitivo comportamentale: differenze,

Modello Psicodinamico

Modello Psicodinamico

Quali sono le differenze tra psicoterapia dinamica e cognitivo comportamentale?

La domanda differenze tra psicoterapia dinamica e cognitivo comportamentale. appare  un po’ peregrina per diversi motivi,

Il primo è che la psicoterapia è di fatto  un dedalo di indirizzi teorici e pratici. Vi sono più di cinquecento diverse scuole di pensiero  e almeno cento sono strutturalmente  antitetiche l’una all’altra.

Il secondo ,  e questo è forse il più forte, ognuno di noi che fa questo mestiere, pensa di essere il più bravo  e di avere la soluzione per ogni problema.

Il terzo e non ultimo motivo , è  che l’informazione sulle specificità di ogni singolo indirizzo teorico,  è quasi nullo. Ad esempio, il medico di base solitamente fa fatica a distinguere tra psicologo e psicoterapeuta. Chiedergli di fare anche altre distinzioni,  sarebbe arduo.

Grave mancanza di cultura medica  per la psicologia e psicoterapia.

Quindi, nella pratica  medica ci dovrebbe essere una consapevolezza della necessità almeno di conoscere le differenze tra la dinamica e la cognitivo comportamentale,  invece no. Viene ribadito  un atteggiamento un po’  cartesiano: corpo e psiche, dove i medici pensano al  corpo  e alla  psiche  gli psicologi.   Cosa facciano questi ultimi, poco importa ai medici. Peccato che i mandanti siano spesso i medici di base.

Psicoterapia dinamica e  cognitivo comportamentale,

Tornando alla psicoterapia dinamica e a quella cognitivo comportamentale, ho tenuto queste due grandi categorie, pur consapevole dei mille rigagnoli che si sono strutturati negli anni. Rappresentano i capostipiti, i due sostanziali possibili  approcci al disagio psichico.

 Sappiamo che le radici della psicoterapia dinamica le troviamo nella psicoanalisi  di Freud,  poi in quella Junghiana  e Adleriana, Il termine  cognitivo comportamentale è una sintesi che si è  avuta negli anni ’60  dalla confluenza delle terapie del comportamento (le “behavior therapies”), iniziate negli anni ’50 di D. Meichenbaum e la terapia cognitiva di Aaron Beck.

La psicoterapia cognitivo comportamentale

Il termine “cognitivo”  si riferisce  a tutto ciò che accade all’interno della mente, ossia,  tutti i processi mentali come pensiero, ragionamento, attenzione e   memoria che  implicano  lo stato di coscienza  e consapevolezza. Mentre il termine “comportamentale”  si riferisce  invece ai comportamenti manifesti (non solo le  azioni  ma tutte le attività  leggibili  nell’organismo nel  rapporto con l’ambiente) da parte del soggetto.

Psicoterapia direttiva e interpretativa.

La terapia cognitivo comportamentale è una terapia direttiva che si focalizza prevalentemente sul presente e si propone la soluzione dei problemi attuali. I pazienti imparano  alcune specifiche tecniche, abilità  (coping)  che  potranno  utilizzare anche in seguito. Queste abilità  riguardano  l’identificazione dei cosiddetti “modi distorti di pensare”,    la modificazione di convinzioni irrazionali e il cambiamento di comportamenti che sono causa del disadattamento.  In fondo, la terapia cognitivo comportamentale poggia  su una base sperimentale che ripete  il metodo proprio delle scienze naturali.

Il terapeuta cognitivista

Il terapeuta nella terapia cognitivo comportamentale tiene un atteggiamento direttivo  psico educativo e tende a chiarire  al paziente i circoli viziosi e i meccanismo che causano  e mantengono alcuni sintomi. La  terapia cognitivo comportamentale  si fa carico del sintomo e parte dal presupposto teorico dove la mente è  considerata una sorta di black box per usare un termine coniato da John  Watson,  cioè  una scatola nera il cui funzionamento interno è inconoscibile e  irrilevante per  i comportamentisti. Indi, tutto ciò che è accaduto  dal momento della nascita ad oggi e che  per i dinamici è depositato nell’inconscio,  ai comportamentisti non interessa e non deve essere toccato.

La psicoterapia dinamica

Di parere opposto sono coloro che lavorano nel campo della  psicoterapia dinamica. Essi partono dal presupposto che quello che oggi facciamo, nel bene e nel male non è altro che una reiterazione di dinamiche che si sono strutturate nei primissimi anni di vita, secondo la Klein nei primi sei mesi.

Lo scopo.

Lo scopo della psicoterapia dinamica non è quello di farsi carico del sintomo ma di scoprire nel rapporto paziente terapeuta la lettura del transfert, l’interpretazione  dei sogni,  dei lapsus e libere associazioni , le cause, i nuclei nevrotici che si sono costellati nel tempo, rendendo possibile una  loro elaborazione. Il fine della psicoterapia dinamica, per usare una bellissima metafora di Freud,  è di diventare  “padroni a casa propria” o come diceva  Jung, individuarci cioè,  diventare se stessi.

Lo psicoterapeuta dinamico.

Il terapeuta che fa psicoterapia dinamica si astiene dal dare consigli o indicare direzioni ma fornisce interpretazioni cercando di aiutare il paziente a capire come lui funziona.

E’ chiaro che l’approccio terapeutico in un caso o nell’altro si differenzia abbastanza,  ma  soprattutto,  che diversi tipi di disagi possono trovare beneficio in una risposta terapeutica o nell’altra.

Quando la dinamica  e quando la cognitivo comportamentale.

Rifacendomi a dati  clinici  consolidati  direi che  un paziente fobico trova sicuramente una risposta più consona nella psicoterapia cognitivo comportamentale ma a un  borderline o a  un narcisista,  sicuramente gli deve essere consigliata una psicoterapia dinamica.

Restando nei “massimi sistemi”, sintetizzerei  dicendo che per un disagio momentaneo e comunque non strutturato che non intacca le strutture della personalità,  sceglierei una terapia cognitivo comportamentale, là dove c’è un problema di personalità, la psicoterapia dinamica.

Facile?

Detto così sembra facile, purtroppo non lo è. Esiste un problema di diagnosi a monte. Per questo dovrebbero  esserne competenti il medico di base o comunque le strutture di primo soccorso. Purtroppo non lo sono. Per questo,   per i pazienti ha  sempre una grande importanza  l’informazione.  Per questo è  auspicabile che il terapeuta, prima di iniziare una  terapia  faccia  una seria valutazione del paziente che si rivolge a lui,  valutazione  atta non  solo a capire  la struttura di personalità  ma anche la propria idoneità a rispondere a quel peculiare  bisogno.

Cosa deve fare il paziente prima di iniziare.

Altrettanto deve fare il paziente che certamente non è in grado di  valutare la specifica formazione del terapeuta al quale si è rivolto ma sicuramente, prima di decidere di fare una terapia,  deve soppesare in uno,  due, tre incontri se le risposte del terapeuta se sono avvertite come corrispondenti e  in sintonia con i suoi bisogni. La terapia è un rapporto e i rapporti richiedono di essere scelti.

di Renzo Zambello

Di Renzo Zambello il libro  ” Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista “   Ed.  Kimerik

2 Commenti

  1. Carla Panno 13 Dicembre 2015

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