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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile dottore, la ringrazio per la sua risposta dettagliata. Sono in linea con alcune cose da lei scritte. Mi domando quanto in psicoterapia il dolore psicologico sia in qualche modo trasmesso all'analista, cosa ne rimane al paziente. Il dolore diviene qualcosa che edifica e che rende forti, noi.. che abbiamo scelto di farci cario professionalmente della sofferenza umana . Credo che ci porteremo queste domande per tutta la vita, certi di saper gestire le dinamiche del transfert del setting.
La ringrazio per la sua disponibilità

Risposta del Dott.Zambello: No Dottoressa,
in primis, non vedo nessuna utilità in un terapeuta che sta male per i propri pazienti. In terapia l'esperienza umana viene condivisa e anche convissuta col paziente. Il terapeuta usa tutta l'empatia di cui è capace per condividere la situazione ma l'esperienza, compreso il dolore del paziente, resta al paziente.
Non mi sento Teresa di Calcutta, non devo salvare nessuno.
La formazione serve proprio a questo, aiutare il terapeuta a trovare in sé quel sistema emotivo che gli permetta di condividere l'esperienza del paziente, capirla assieme, ma non farsi carico emotivo di questa.
Questo chiede il paziente.


Aggiunto: Luglio 29, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Salve, sono una dottoressa in psicologia prossima all'abilitazione e aspirante Junghiana. Da un po' di giorni mi assale una domanda. Ma il dolore dove va a finire? Avendo percorso in prima persona le strade tortuose della sofferenza ho vissuto con occhi da ''paziente'', posso allora dire che la sofferenza resta sotto la pelle ,dentro l'anima. Ho elaborato un dolore emotivo profondo , fa parte di me e ma questo adesso mi fa vivere serena e consapevole proprio perchè elaborato. Ma questa domanda oggi mi preme da futura professionista e con una leggera frustrazione:dove va il dolore?

Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Dottoressa,
il dolore è come un enzima in chimica.
L'enzima non c'è né prima né dopo la reazione chimica. Così il dolore, con la differenza che esso a volte impedisce l'evoluzione, la crescita. Altre, è la "conditio sine qua non" perchè qualcosa si evolva cresca, nasca. Pensi che si sono coniate delle espressioni che mettono il dolore come condizione certa: i dolori del parto, i dolori di crescita, riferiti al fisico adolescenziale che cresce etc.
Capisco però che non ho risposta ad un problema filosofico al quale sottintende la sua domanda: che senso ha il dolore? Ma, potrebbe chiedersi, ha un senso la vita, c'è uno scopo a tutto questo?
Mi fermo qua. Posso solo dirle che credo di aver letto in Jung che, non era come lui disse spesso, né un filosofo né un religioso ma uno scienziato e si muoveva con son l'arma della sperimentazione e conoscenza che lui aveva la consapevolezza di essere, appartenere ad un inconscio esterno immensamente più esteso di quello personale freudiano: l'inconscio collettivo.
Ecco, forse questa è la risposta: il dolore va nell'inconscio collettivo.
Personalmente ne ho fatto spesso esperienza a Lourdes. E' chiaro che io non so se lì è apparsa o meno la Madonna, è un problema che non mi pongo. Però, lì, davanti a quella grotta, seduto su quelle misere panche, lì dove hanno sostato ormai da più di un secolo milioni di ammalati doloranti, lì si sento il dolore come una energia che ha quasi una sua densità fisica. Lì sento di potermi unire alla speranza di milioni di persone. Lì il dolore ha una azione rigenerante. Lì sto bene.


Aggiunto: Luglio 28, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gent.imo dott. Zambello,
vorrei chiederle un'informazione tecnica. Mia figlia di 7 anni ha dovuto "subire" il divorzio dei genitori, la convivenza insieme alla madre con il nuovo compagno di quest'ultima ed inoltre il trasferimento in un'altrà casa (e dunque in un'altra scuola e in generale in altre realtà) perdendo inoltre i contatti con le sue amicizie. tutto questo è avvenuto gradualmente nel corso di un anno (partendo dall'età di circa 5 anni).
Mia figlia ovviamente ne ha sofferto moltissimo e non ha mai accettato tutti questi cambiamenti. Ha assunto un comportamento di rivalsa, di contraddizione e non accettazione delle autorità partendo da quelle paterne e materno-nuovocompagno fino a quell scolastiche.
Noi al momento abbiamo terminato l'iter proposto dall'asl (nel nostro caso: visita neurologica, test di swift, perizia logopedica) ed ora attendiamo dalla neuropsichiatra infantile indicazioni su quale percorso intraprendere per aiutare la nostra bimba. Ha già seguito un percorso psicomotricistico, ma riteniamo debba essere intrapreso un percorso psicologico con uno/una psicologo/a clinica che sia in grado però di fornire supporto alla famiglia (in particolare alla madre) che non riuscendo a gestire la situazione è ora prosciugata delle sue energie e si sente un po' depressa e piuttosto abbattuta.
Vengo al punto: nella psicologia esistono diverse figure professionali e varie specializzazioni tra le quali (per i non addetti ai lavori) non è facile districarsi. A quale psicologo/a clinico/a dobbiamo rivolgerci ? Ossia quale figura professionale (specialità/capacità/esperienze) ritiene sia la più adatta per gestire la nostra situazione ?
La ringrazio per il suo tempo e la sua attenzione.
In attesa di suo gentile riscontro porgo
distinti saluti
Alessandro

Risposta del Dott.Zambello: Buongiorno,
Nonostante la sua domanda mette in risalto le difficoltà del paziente che si deve muovere fra un sottobosco di professionisti della psicologia, direi che nel caso suo la risposta è semplice.
Se dovete fare un percorso terapeutico assieme, madre e padre e magari anche la figlia, meglio una terapia di coppia con una psicoterapeuta della famiglia. A livello individuale invece le cose si complicano un po'. Facciamo così: lei cerca risposte spicciole concrete senza grandi voli filosofici e in un tempo sufficiente breve; una terapia cognitivo-comportamentale.
Ha bisogno di capire, trovare lei dentro di sé la risposta cercandola nel suo inconscio: psicoterapia dinamica.


Aggiunto: Luglio 27, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Egr Dottor zimbello, buonasera ...le scrivo per cercare un suo prezioso consiglio :non so cosa mi accade dottore ....ho uno splendido figlio di quattro anni e mezzo che Inutile dire amo più della mia vita... mi accade però una cosa strana :quando mio figlio non è con me ed è con il papà oppure con la nonna o con altre persone di cui mi fido sono tranquilla .quando è con me comincio a soffrire di un’ansia esorbitante senza motivo ....ho paura che gli possono accadere le cose peggiori da semplici incidenti che possono capitare a tutti a gravi problemi di salute ...questo solo quando però sta con me !perché dottore ?sono sempre stata felice di prendermi cura di mio figlio ....perché soffro di “quest’ansia da prestazione” che non ho subito mai manco quando era appena neonato ...
Comincio a sospettare di avere qualche serio problema ..mi consigli lei per quanto possibile ...grazie

Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Signora Teresa,
credo che lei sia venuta a contatto con qualche suo nucleo nevrotico che ha sempre celato a sé. E' come se lei sentisse che nel suo inconscio si muovono, come dei sottomarini in un mare che potrebbero improvvisamente attaccare, diventare pericolosi.
E' evidente che è una situazione psicogena che nulla a che vedere con la realtà. Ma, noi non siamo solo razionalità, facciamo i conti con l'inconscio e, verosimilmente il suo ha delle istanze.
Che fare? Non spaventarsi. Per come la vedo io, sono situazioni che alludono sempre ad una possibilità di crescita, di sviluppo.
Come affrontarli? Con una psicoterapia rigorosamente dinamica.
Vedrà che poi alla fine sarà contenta di questa possibilità che il suo inconscio le offre.
Col suo bambino stia tranquilla, lei non potrà mai farle niente di male.
A proposito: mi chiamo Zambello.


Aggiunto: Luglio 27, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile dott.Zambello,non si preoccupi dei colpevoli. Finalmente adesso, dopo aver consultato un genetista esperto della mia patologia grazie anche al mio terapeuta, so che è stato senza alcun dubbio uno dei miei genitori a non fornirmi i cromosomi di cui avevo bisogno. Non so ancora chi dei due, forse un giorno riuscirò a saperlo, ma per ora va bene così. In fondo poi sono comunque colpevoli entrambi, per non avermelo mai detto, che era colpa di uno di loro, col risultato che per tantissimo tempo ho pensato che la colpa fosse mia. Pensavo che loro avessero concepito una figlia sana, e che io fossi colpevole di avere sviluppato la patologia in fase embrionale. Invece no, i colpevoli sono loro e, mi creda, sto molto meglio, ora che so che un giorno pagheranno entrambi. Anzi, mia madre pagherà di più perché è colpevole anche di non aver fatto l'amniocentesi quando era incinta di me. Avrebbe scoperto che non ero normale e avrebbe potuto abortire, invece di condannarmi a nascere pensando erroneamente per più di 7 anni che fossi sana. Oltretutto, 3 anni prima della diagnosi della mia malattia è nato mio fratello, perfettamente normale. Per lui, però, l'amniocentesi è stata fatta. Chissà, si vede che lui è più importante di me. Non si fa nascere un figlio senza prima avere fatto tutte le indagini necessarie ad assicurarsi che sia perfetto, è da irresponsabili. E soprattutto non si fanno dei controlli per un figlio e per me no. O tutti due o nessuno. Comunque non volevo parlare di colpe, è stato lei a farlo. La ringrazio comunque della risposta.

Aggiunto: Luglio 24, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile dott. Zambello,
La settimana prossima il mio terapeuta dovrebbe riprendere la sua attività dopo una pausa estiva di circa un mese e mezzo, anche se ancora non l'ho sentito per concordare un appuntamento. La verità è che non sono affatto sicura di volere ricominciare. L'ultima seduta prima dell'interruzione non era stata buona. Avevamo discusso parecchio sul fatto che secondo me lui non vuole ammettere le mie oggettive deformità fisiche (le avevo scritto in merito già venti gg fa circa). Ma in fondo abbiamo avuto scontri ben peggiori in passato. Lui in fine di seduta avrebbe voluto fissarmi già un appuntamento per il suo rientro, ma io non me la sono sentita e ho detto che dovevo rifletterci, se continuare o meno la terapia. Mi ha rimproverata di non mantenere i miei impegni e di non essere matura ma non mi importa, so che non è così.
Comunque non è tanto per questa storia delle deformità che sono titubante sulla ripresa delle sedute.
è che mi sono resa conto che è la spia di un problema ben più grosso, direi.
Vede dott. Zambello, credo che ogni bambina si renda conto di non essere più tale con l'inizio della pubertà. è in quel momento che si capisce che si sta diventando donne. Se non di testa, almeno fisicamente. Ma poi in fondo sì, anche psicologicamente e mentalmente, un po' alla volta. E non è che un'adolescente abbia dubbi sul fatto di essere una donna: c'è il ciclo mestruale che glielo dimostra ogni 28 giorni.
Io invece non ho potuto vivere niente di tutto ciò. Sono nata senza gonadi,con un DNA diverso da quello delle donne normali, purtroppo non potrò mai avere figli e tutto quello che rende una donna tale (mestruazioni, crescita del seno, ecc...), tutto quello che dovrebbe essere naturale e scontato, a me è stato indotto in una maniera assolutamente innaturale e medicalizzata. Esattamente come avviene per i transessuali che, non me ne vogliano, ma donne vere non lo saranno mai, non biologicamente.
Almeno loro però in qualche modo si sentono donne. Possiamo dire, volendo, che scelgono di affrontare terapie ormonali, operazioni chirurgiche e tutto il resto. Io invece non ho avuto nessuna scelta. Io vorrei essere una donna come le altre, però di fatto sono una donna mancata. Non riuscita.
O almeno è così che mi vedo. Pur di non avere quelle mestruazioni finte, indotte dagli estrogeni, che ogni mese mi ricordavano solo che era tutta una dolorosissima farsa, ho preferito andare in menopausa a 30 anni. Che poi in realtà nemmeno di menopausa si può parlare.
Ma comunque, il punto è che mi rendo conto che per il mio bene dovrei riuscire a pensare, a convincermi che nonostante tutto sono una donna pure io. Però non ce la faccio perché, per quanto io mi sforzi, non riesco a trovare nessun argomento logico a supporto del mio essere donna. Mentre invece, ahimé, ne ho un sacco di prove che dimostrerebbero il contrario. Insomma, tutte quelle che ho elencato prima.
Ma se io questo salto enorme di considerarmi comunque una donna nonostante la malattia, da sola non riesco a farlo, chi dovrebbe aiutarmi se non il mio terapeuta? Alla fine sono in terapia per quello, principalmente.
E proprio qui sta il problema grosso. Che lui, ogni qualvolta affermo che non mi sento una donna, non dice nulla. Guarda di lato,evita il mio sguardo e si sforza di restare in silenzio, di non proferire parola. Così conferma i miei dubbi,e glie l'ho fatto notare già 3-4 volte. Gliel'ho detto e scritto più volte, che temo che lui per primo non mi consideri veramente una donna, data la mia situazione clinica. Ma lui nicchia, non ha mai preso posizione. Solo una volta mi ha detto "io la considero una persona". Una persona. Come dire, qualcosa di asessuato. Mi sono sentita anche peggio che se mi avesse confermato i miei timori. La prima volta che l'ho informato di quale fosse la mia malattia, lui mi ha confessato che il suo primo istinto è stato di prendere le distanze. Questa cosa mi ha molto ferita, ancora mi ferisce dopo 2 anni e mezzo. E ora temo che lui sia rimasto a quella prima reazione istintiva, che non sia riuscito del tutto ad andare oltre, per questo si comporta così. Io il coraggio di dire quello che sento, di mettermi in gioco l'ho avuto e, mi creda, non è stato per niente facile. Credo di meritare altrettante sincerità e coraggio da parte del terapeuta, ma evidentemente non è così.
So che lei non è il mio psicologo (posso dire per fortuna, mia e sua?) e che non può dare giudizi sulla terapia, non è questo che mi aspetto. E non mi dica di far leggere quello che le scrivo a lui perché appunto, lui tutto questo lo sa già. Semplicemente sono stanca di dire: "è qui mi fa male, proprio qui" e non venire presa in considerazione. Stanca, delusa e scoraggiata. Perdoni lo sfogo e scusi se ho scritto un papiro. Le chiedo solo se secondo lei è possibile che il mio terapeuta davvero non mi consideri una donna e che si trovi in difficoltà e non me lo dica per non ferirmi.

Risposta del Dott.Zambello: Io credo che diventano uomini o donne nel momento in cui rinunciamo a farci riconoscere dagli altri. Siamo noi che dobbiamo riconoscere noi stessi, diventare capaci di dire:io sono. Certo, questo prevede la necessità di riconoscere i propri limiti. Ma, lei questa capacità ce l'ha e anche molto sviluppata. Ma soprattutto il coraggio di riconoscere le proprie doti. È una dote in su cui lei manca un po'. Tutto ciò comunque avviene ad una sola condizione: smettere di cercare colpevoli. Noi siamo quello che siamo. Stop.


Aggiunto: Luglio 24, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buongiorno dottore,
Mi chiamo Michele a vivo a Bologna
Dopo aver vissuto proprio 3 giorni fa (20 luglio) un’esperienza (coincidenza?) per me straordinaria, mi sono collegato in rete per dare un significato o spiegazione a quello che mi è successo.
Per caso mi sono imbattuto nel Suo sito e ho letto l'articolo dal titolo "Sincronicità, il sale della vita che sprechiamo".
Le scrivo perché oltre alle persone più care (che possono capirti) volevo un parere o meglio condividere con un’esperto la mia storia:

Ho appena compiuto 51 anni e da qualche tempo attraverso una crisi personale afflitto da rimpianti per quello che non ho fatto o avrei potuto fare nella mia vita (soprattutto a livello professionale/lavorativo)..insomma la classica crisi di mezza età che colpisce spesso gli uomini.
Ho sempre lavorato come impiegato amministrativo e sono arrivato a un punto di saturazione che mi ha portato negli ultimi tempi a maturare più volte la necessità/desiderio di cambiamento.
Non ho mai fatto niente perché al giorno d’oggi un posto di lavoro è prezioso, visti i tempi che corrono, e a maggior ragione per uno che a 50. Anni vorrebbe fare tutt’altro nella vita senza avere competenze specifiche o doti particolari per intraprendere altre professioni.
Fatta questa introduzione, necessaria per capire il contesto, passo alla vicenda in questione:
Ieri mattina durante il solito tragitto in macchina verso l’ufficio ( più o meno a seconda del traffico 20/30 minuti) ne approfittavo per fare i miei consueti pensieri ad alta voce ( o sogni ad occhi aperti). Uno ricorrente ultimamente,vista la mia passione sportiva in generale è per una squadra di basket cittadina in particolare, è quello di poter lavorare in una società sportiva (magari professionistica) senza particolari pretese di mansioni (della
Serie mi va bene tutto l’importante è l’ambiente).
All’improvviso sopraggiunge in maniera spontanea e improvvisa il pensiero (come un sogno ad occhi aperti) di poter incontrare di persona un personaggio importante (e mi viene in mente proprio una persona precisa, Nome e cognome il consigliere delegato ) di questa società sportiva di basket del cuore e che magari (per non si sa quale motivo) mi possa dare un’opportunità di lavoro, così senza nessuna motivazione ben precisa
(Proprio un sogno eheheh).
Continuavo a guidare verso la mia meta quotidiana cullato da questi dolci pensieri cercando però di non farmi cogliere impreparato nel caso potesse avverarsi , cioè non fare la
Figura del timido o impacciato. Studiavo e preparavo con la mente, delle frasi di circostanza e di approccio idonee a farmi fare una bella figura e ad essere disinvolto.
Pur consapevole dell’assurdità dei miei pensieri continuavo a “naufragare in quel mare”.
Come ogni mattina da circa 2 anni, mi fermo a fare colazione in un bar, poco distante l’ufficio.
Entro, scontrino, brioche e caffè..sto per andarmene quando la persona a fianco che non avevo notato, allunga una mano passando dietro la mia schiena per prendere una bustina di zucchero che si trovava di fianco a me. Io dico spostandomi per gentilezza “Prego”..e lui risponde “no no stai pure..grazie”
A quel punto voltandosi verso di me me lo trovo di fronte a pochi centimetri... beh si era proprio la persona che 5 minuti (ripeto 5 minuti) prima era protagonista del mio sogno ad occhi aperti. Per me è stato uno shock..quasi da malore..mi sembrava persino che non fosse reale o umano...eppure era proprio lui. Dopo alcuni attimi di difficoltà, mi sono ripreso e ho approcciato proprio come mi ero immaginato (quelle frasi che ho studiato in macchina prima nei 5 minuti precedenti)
Breve conversazione cordiale con lui molto gentile e disponibile con tanto di saluto affettuoso da parte sua un mezzo abbraccio con pacca sulla spalla)
Preciso che questo personaggio, pur essendo pubblico, non l’ho mai incontrato prima di persona da nessuna parte nè tanto meno in 2 anni che frequento il Bar ogni mattina ma solo visto in TV o sui giornali.
Esco dal bar barcollando e sconvolto ( mai successa una coincidenza simile in vita mia) con la
Necessità immediata di chiamare la mia compagna per condividere (Non Le nascondo che ho pianto per l'emozione)
Erano passati solo 5 minuti da quel pensiero ed avevo incontrato nel modo più casuale e fortuito (non era presente nel Bar ed io mi sono avvicinato a lui ma lui che mi è quasi venuto addosso....) esattamente la persona che la mia mente aveva scelto. Può immaginare gli Stati d’animo successivi:
La parte razionale che cercava di ripercorrere gli eventi per capire se fosse stato tutto vero o potesse essere frutto di immaginazione....(Ma era tutto vero)
Quello che provo è un misto di sensazioni positive ma anche di confusione..mi sembra a volte di essermi elevato in una dimensione superiore e di aver vissuto qualcosa di soprannaturale. Certo la mia vita è sempre quella perché questo incontro “INCREDIBILE” non ha avuto il lieto fine del mio sogno (dove si è mai visto che uno offre un lavoro al primo che incontra solo perché tifoso e appassionato della squadra per cui è consigliere delegato??)
Adesso però ho sentito la necessità di indagare, informarmi, documentarmi e capire..soprattutto come poter sfruttare questo evento a mio favore per un cambiamento o crescita. Insomma sono Confuso!!
La mia domanda è: cosa si deve fare in questi casi? Rientra veramente tra i casi di coincidenza significativa...
Forse sto esagerando e di casi come questo ne succedono tanti...ma a me
Sembra una storia incredibile e al limite dell’umano.
Scusi per la lunghezza del messaggio e per il tempo che eventualmente vorrà dedicare alla lettura.
Al limite potrà essere un utile testimonianza da poter diffondere.
Grazie ancora per l’attenzione e mi scusi per il disturbo

Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Michele,
Io no darei troppa importanza all'episodio
Credo anche io che si tratti di un fatto sincronico dal quale si evince in maniera netta, soprattutto per lei, il desiderio a cambiare e se vuole, a lavorare nel mondo sportivo. Basta. Non c'è altro. Pensare di vedere in questi episodi significati magici o ancor più poterli usare per vantarsene è assolutamente fuori dal significato di questi comuni eventi. Comuni e quotidiani.
Vuole darci un significato? Lei ha proprio voglia di cambiare lavoro. Stop.


Aggiunto: Luglio 23, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buonasera Dottore, vorrei farle una domanda.
Vado da 10mesi da una psicologa molto carina. Ho iniziato il percorso perché a causa di un rapporto sbagliato con i miei genitori e successivamente con i miei suoceri ho iniziato a soffrire di ansia, attacchi di panico, paura di restare bloccata nei luoghi chiusi.
Mi ha detto che soffro di claustrofobia relazionale. Mi son sempre trovata bene con lei ma diverse volte ho sentito senso di fastidio.
Capita che non mi senta compresa.
Con questo non voglio dire che lei mi debba assecondare o darmi ragione, assolutamente no, anzi.. Le migliori riflessioni le faccio quando mi fa notare cose che non avevo notato. Però per esempio..
Da due anni non parlo più con i miei suoceri dopo che per anni mi hanno insultata, hanno picchiato i miei bambini a mia insaputa, hanno parlato male di me e mio marito con i loro parenti e perfino gente del paese. Ci rubavano la posta per leggere i nostri estratto conto, entravano in casa nostra senza che lo sapessi o, raccontavano a me cose false e lo stesso facevano col figlio.
Insomma un inferno per anni e anni e troncato il rapporto abbiamo ripreso a vivere serenamente.
Bene, sono diversi mesi che cerca di convincermi a riavvicinarmi a loro. Ho spiegato in ogni modo che non sono persone mentalmente stabili e che io dopo anni di sopportazione non ne voglio sapere più niente ma che mio marito è libero di fare come vuole.
Insiste che dovrei trovare lati positivi, mi chiede e richiede nelle varie sedute di raccontare cosa hanno o non hanno fatto, anche nei dettagli. La volta dopo me li richiede. Oggi mi ha detto che chi si comporta così con invadenza e attaccamento morboso ai nipoti in genere è perché ha solo paura di morire, quindi per l'ennesima volta non ha capito il succo del discorso visto che non si tratta di attaccamento ma di prepotenza, ossessione, violenza psicologica.
Sono stufa, secondo lei sbaglio? Come dovrei comportarmi?
Io spendo soldi ogni volta per risolvere un problema che però non snoccioliamo mai perché passiamo le sedute a parlare di loro, di cosa hanno fatto e che sono poverini, sono solo dei nonni ecc ecc... Mi sembra un po' assurdo.

Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Signora,
non so niente, non so perché la sua terapeuta è così interessata ai suoi suoceri.
Sarà un suo problema.
Avrà bisogno di genitori che ha perso. Non so.
Non è che il terapeuta sia privo di bisogni e frustrazioni personali. Anzi.
Il problema è che non dovrebbe portarli in seduta.
Bion, grande psicanalista, suggeriva una tecnica alla quale cerco di attenermi: stare ogni volta davanti al paziente senza storia e senza attese.
Parlare strettamente di ciò che il paziente dice in quel momento.
Glielo chieda la prossima volta alla sua terapeuta: Dottoressa, ha bisogno di due suoceri?


Aggiunto: Luglio 21, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile dottore,
vorrei farle una domanda: è possibile che certi genitori odino inconsciamente i figli? Glielo chiedo perché nel mio caso e anche in quello di un paio di persone che conosco mi sembra che sia così, ad esempio la madre di una mia amica non perde occasione per maltrattarla se fa qualcosa di buono o se si mostra gentile, e le dà consigli tremendi sulla vita, e le assicuro che questa ragazza cerca davvero di essere una brava persona. Anche a casa mia è così, a volte ho l'impressione che se sono di buon umore mio padre trovi sempre il modo di rovinarlo, ad esempio dicendomi che è triste, che ha dormito male, oppure cominciando a creare problemi immaginari; io poi ci casco e finisco per angosciarmi; a questo punto, quando davvero sono angosciato per lui, gli passa tutto. Mi sono accorto che l'unico modo che ho per difendermi è di far finta di essere infelice, anche se mi sento in colpa, ma solo allora mi lascia in pace. E' come se fosse felice se io sono infelice, mi sembra un pensiero orribile, ma temo sia vero. Volevo sapere da lei se è una cosa possibile, non so, magari sono persone depresse? Lei nella sua esperienza che ne pensa? Grazie.

Risposta del Dott.Zambello: Gentile Signore, è proprio così come lei dice. I genitori possono odiare i loro figli. Il paradosso è che i guai, grossi, li fanno quando nel contempo li amano altrettanto intensamente. Si crea quella situazione che la Psicoterapeuta Palazzolo-Salvini chiamava del doppio messaggio, prendendo il concetto dall'antropologo Gregory Bateson che definiva del doppio legame: ti amo-ti odio. È una situazione che per il bambino può essere la causa di gravi disturbi di personalità.
Per quanto possa sembrare assurdo, sono da desiderare i genitori solo cattivi. Il bambino, bene o male troverà un suo equilibrio.


Aggiunto: Luglio 20, 2018
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Domanda allo psicoterapeuta:


Egregio dottore, sono una donna di 35 anni con una bella famiglia, un marito che amo e un bellissimo figlio...lavoro, appaio a tutti come una persona equilibrata. Eppure dottore spesso vivo periodi (come questo) da incubo...sono letteralmente ossessionata dal fatto che mio figlio (4 anni) possa ammalarsi...gli controllo ogni minima parte del corpo, trovo sempre cose “anomale”, se semplicemente dice che è stanco mi dico che qualcosa nn va...insomma anziché vivermi la sua infanzia, vivo nel terrore più profondo :( quei pochi che captano questa cosa, mi dicono che devo smetterla e che nn sono normale...ma secondo lei io non vorrei? Secondo lei dovrei seguire una qualche terapia o potrei tentare di “uscirne” da sola? La stimo molto, un suo consiglio sarebbe per me altamente gradito...
Onestamente non so proprio cosa mi accade...
P.s. Per farle capire a che “livello” sono, se ad esempio gli viene un qualche dolore, mi prende una paura così forte da tenermi “al bagno”...si figuri!!!
Perdoni la lungaggine, buona serata e grazie

Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Signora,
lei coglie che il suo sintomo potrebbe nascondere un disagio un po' più profondo. Ha ragione quando pone l'attenzione sul figlio, io però ribalterei il problema: temo che suo figlio alla lunga risentirà delle sue paure, del suo disagio.
Che fare? Chieda aiuto ad uno psicoterapeuta che l'aiuti a capire meglio se stessa.


Aggiunto: Luglio 13, 2018
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Medico psicoterapeuta e psicoanalista


Dott. Renzo Zambello
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