Inserito da
Pseudonimo: Anna
Pseudonimo: Anna
Domanda allo psicoterapeuta:
Buongiorno dottore. Sono una donna di 59 anni realizzata nel lavoro e sposata da 30 anni con un uomo che adoro e che mi adora. Da poco sono diventata nonna di un bel bambino ma, mia nuora, non ha piacere di venire a casa mia così come non vuole ricevere visite a casa sua. Praticamente non vuole farci vedere il bambino, ha forse paura che si affezioni a noi? Io di questo ne soffro molto e la mattina mi alzo con un grosso senso di angoscia che mi accompagna per buona parte della giornata. Io non credo di aver mai detto o fatto cose di cui sentirmi in colpa ma, mia nuora, un giorno mi ha detto che quando viene a casa mia le viene l'ansia. A me dispiace di questo ma non so più cosa fare. Certamente evito di parlarne con mio figlio per non turbare il loro equilibrio. Le ringrazio in anticipo per l'eventuale risposta. ps Potrebbe indicarmi qualche libro divulgativo su queste problematiche?
Risposta del Dott.Zambello: Bongiorno Signora,
mi capita spesso di venire a contatto con la frustrazione, sofferenza che lei descrive. In fondo nel nostro tipo di società è abbastanza nuova. La giovane famiglia si è sempre tradizionalmente appoggiata ai suoceri per far crescere i figli e assicurarsi una certa indipendenza. Non è più così. Credo che i motivi sociologici siano molto complessi. Ma, giustamente a lei non interessano, vorrebbe poter vivere di più il nipote.
Che dirle? Se può, pensi che potrebbe significare una maggiore autonomia del nipote. Potrebbe crescere più indipendente delle generazioni precedenti, il che, non sarebbe sicuramente male
Aggiunto: Luglio 11, 2018
Inserito da
Pseudonimo: Lara
Pseudonimo: Lara
Domanda allo psicoterapeuta:
Ho 32 anni. A 13 anni mi sono "fidanzata" con un ragazzo di 17 anni del mio paese. Era un bravo ragazzo, compagno di classe di mio fratello da sempre e le nostre famiglie si conoscevano già. In quegli anni spesse volte ho baciato qualche altro ragazzo. Forse cercavo sempre un "brivido", ma alla fine non riuscivo a pensare alla mia vita senza di lui. A 20 anni l’ho lasciato dicendogli che secondo me la nostra relazione era diventata una abitudine. È accaduto anche ho avuto una relazione con un mio collega: inoltre erano anni che non riuscivo più a baciarlo e non facevamo l'amore quasi mai. Mi chiedevo: "avrò dei problemi io o forse lo vedo come un amico...". Insomma alla fine l’ho lasciato e ho iniziato a frequentare il mio collega. Il mio ex un giorno con voce tremolante mi ha detto “se non torni con me, non so cosa potrei fare”. Così gli ho spiegato la mia posizione e lui mi è sembrato che, anche se con fatica, è riuscito ad accettare la situazione. Da quel momento ogni sabato ci beviamo il caffè insieme e il sabato sera (dato che il mio ragazzo lavora) continuo a vedere il mio ex in compagnia di amici…Dopo 2 anni di relazione ho lasciato il mio ragazzo e ho iniziato una storia con una persona di 30 anni più grande di me. Da quel momento le nostre strade in parte si sono divise: io con quest'uomo maturo e lui con una ragazza di 6 anni più di lui, separata con figli con una brutta reputazione. Io ne ho sofferto: era la prima volta che lo sapevo con un'altra donna che tra l'altro mi stava antipatica... Negli anni successivi e ancora tutt'ora lui scrive sms ogni settimana, ma non mi chiede più di uscire per un caffè. Io non sopporto la sua ragazza e lei lo sa, lui invece fa quasi amicizia col mio fidanzato. Ora lui trascorre il suo tempo libero a fare sport con lei (ma mi chiedo: stanno insieme oppure si fanno compagnia?) e io sono ormai 8 anni che mi frequento con il mio uomo che è una persona buona, generosa, dalle mille attenzioni. I miei genitori, anche se non ne sono certa, non sono contenti di questa relazione. Mia madre mi ha fatto molta “violenza psicologica” perché mi vorrebbe ancora col mio ex o con un coetaneo. Io sto bene con lui, ma quando penso alla differenza d’età ho paura: ho paura di rimanere sola e anche rispetto ai figli ho qualche dubbio. Inoltre sto male al pensiero di immaginare di dire al mio ex che sono incinta o che mi sposo, oppure di sapere che possa ufficializzare la sua storia con lei. Mi chiedo: perché penso a lui? Forse non provo neanche più attrazione… ma allora perché ci penso? Sono i sensi di colpa per averlo fatto star male (e in parte aver fatto stare male la sua famiglia)? È perché lei mi sta antipatica? E’ perché non riesco a dare una svolta alla mia storia? E’ perché forse quella era una storia ottimale per la mia famiglia?” Anni fa sono stata anche da una psicoterapeuta strategica. Vi prego aiutatemi a capire. Grazie mille.
Risposta del Dott.Zambello: Gentile Lara, non voglio ne' posso giudicare le sue scelte. Mi sembra però che emerga un filo conduttore: il bisogno di una maggiore sicurezza interna.
Se così fosse, questa non la troverà mai negli altri ma solo in se stessa.
Chieda aiuto ad uno psicoterapeuta, meglio se ad uno ad indirizzo psicodinamico.
Aggiunto: Luglio 10, 2018
Domanda allo psicoterapeuta:
buongiorno dottore.mia moglie mi è stata portata via a fine giugno.nn riesco a perdonare cio' che è accaduto.ok il lutto è ancora recente,ma perdere la propria moglie a soli 53 anni nn è facile per nessuno.se sto' in casa mi sento meglio,se esco mi sento solo e piango come un bambino.
Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Mauro,
non c'è una risposta, un perché logico alla morte della persona che amiamo.
La morte è la non ragione.
Non si sforzi a cercarla. Si fermi, viva il suo dolore poi, quando verrà il momento uscirà e la vita potrà ricominciare.
Aggiunto: Luglio 7, 2018
Inserito da
Pseudonimo: Sisifo
Pseudonimo: Sisifo
Domanda allo psicoterapeuta:
Gentile dottore,
Come sa, sono in terapia da 2 anni e mezzo a causa di una malattia genetica per me piuttosto invalidante, con cui non riesco proprio a convivere.
Chi ha la mia patologia presenta quella che i medici chiamano "facies tipica", ovvero tutta una serie di dismorfismi facciali tipici di quel quadro clinico, insieme ad altre malformazioni a carico dello scheletro e degli organi interni.
Eppure, quando parlo con il mio terapeuta del fatto che sono brutta e deforme e che per questo le altre persone non mi vogliono, lui nega. Ma come può dire che non esistano queste deformità se sono chiaramente riportate in letteratura scientifica?
Se è vero che, come qualsiasi persona affetta dalla mia malattia, ho tantissimi nei su tutto il corpo, braccia troppo corte rispetto al resto del corpo, piega epicantica sulle palpebre, orecchie sporgenti e con attaccatura bassa, palato a ogiva, collo palmato, attaccatura dei capelli bassa, torace a scudo, capezzoli troppo distanziati tra di loro, displasia delle unghie, valgismo delle ginocchia e dei gomiti e tanti altri difetti, che non sto a elencare... perché dire che non ci sono?
Sono tutti chiaramente elencati in articoli e libri di medicina.
Mi pare evidente che non sono come quelle persone che vedono deformità dove non ne esistono e si sottopongono a continui interventi chirurgici. Le deformità che vedo io ci sono eccome, mi sono state fate notare più volte da medici e famigliari, anche dai miei stessi genitori. Rientrano purtroppo nel quadro clinico della mia patologia. Probabilmente io tendo a ingigantirle dando loro troppa importanza, questo posso anche ammetterlo, ma non me le invento di certo.
Insomma, se il mio terapeuta continua a dire che in me non vede nulla di deforme, quando è scientificamente provato che non è così, non mi aiuta certo ad accettare i miei difetti fisici (o per lo meno a ridimensionarli), anzi, ottiene proprio l'effetto contrario.
Ho provato a fargli capire che se nega l'evidenza non mi aiuta. Sono arrivata perfino a dirgli che lui, ad esempio, non è per niente bello ed ha le orecchie a sventola, ma che a me va benissimo così, che non mi importa nulla e gli ho chiesto perché lui, al limite, non può dirmi la stessa cosa, invece di mentire dicendo che non vede assolutamente nessuna deformità. Non ho ricevuto risposta. Che altro potrei fare per fargli comprendere che sta sbagliando?
La ringrazio ancora per il tempo che vorrà dedicarmi.
Risposta del Dott.Zambello: Gentile Sisifo,
non faccio il suo terapeuta, non la conosco e tanto meno conosco il suo terapeuta.
Quindi mi astengo, non posso esprimere alcun giudizio né tanto meno posso ipotizzare perché il suo terapeuta dice o non dice una cosa.
La posso assicurare che la bellezza è un fatto soggettivo. Sorrentino, nel suo film dice che la "Grande Bellezza " oltre a Roma é la vecchia suora che ha una fisionomia molto simile a quella che lei ha descritto prima.La bellezza è armonia tra noi e ciò che ci circonda. La bellezza è generosità, la capacità di dare un senso a ciò che abbiamo. L'unica via per trovare un senso, sono gli altri. Noi viviamo per gli altri. Tutta la natura ci insegna questo.
Buona serata.
Aggiunto: Luglio 5, 2018
Inserito da
Pseudonimo: Paola
Pseudonimo: Paola
Domanda allo psicoterapeuta:
Buongiorno Dottore,
ho avuto una breve relazione con un uomo che mi ha lasciato distrutta, come "evaporata " nell'anima.
Durante la nostra relazione ho scoperto su di lui un passato di tossicodipendenza ( in parte ancora in atto) ma non riuscendo a capire il perchè del suo comportamento con me in occasione e successivamente alla rottura del rapporto , all'inizio eccessivamente idealizzato ed alla fine distrutto con crudeltà verbali esagerate seguiti da silenzi assordanti che peraltro mi somministrava anche in occasione dei nostri litigi durante la relazione, ho pensato potesse essere ricondotto a questo disturbo narcisistico della personalità di cui tanto si parla più che delle conseguenze dell'assunzione del metadone, di cocaina e di forti farmaci per dormire ( che non sortiscono alcun effetto tra l'altro perchè l'insonnia è perenne)
Il copione che ha seguito con me (ma ricongiungendo i pezzi del puzzle da ciò che mi aveva raccontata è stato il copione seguito un po' con tutte le sue storie, anche quelle più lunghe e per lui ancora indimenticabili) è da manuale: triangolazione, svalutazione, scarto, silenzio, nessuna complicità, lontanaza fisica, un allontanamento sempre più marcato fino all'esplosione per aver scoperto che assumeva di nascosto della cocaina.
Anche fisicamente e per i dolori al corpo che accusa rientra nel "personaggio" (ho visto che al disturbo vi è un anche un approccio bioenergetico per cui molti terapeuti prendono in considerazione il corpo che soffre e soffre sempre nello stesso punto ovvero tra le scapole , all'attaccatura del collo ), sia per ciò che conosco della sua infanzia travagliata con una madre che ha voluto crescerlo a sua immagine e somiglianza e un padre assente, irridente e svalutante del figlio.
Pensare che soffra di un disturbo di questo genere ancorchè non supportata da diagnosi che io sappia ( forse gli è stata fatta ma non so... vede ogni mese una psicologa ma da quello che mi è stato detto da lui questa figura professionale rappresenta il raccordo con il Sert al quale è in carico ) mi ha aiutato a tornare un po' sù di morale.
La mia domanda però è la seguente:Lei crede che potrebbe avere un valore per il suo futuro affrontare questo discorso con lui, ovvero di valutare se non sia stata già fatta una diagnosi del genere nei suoi confronti?
Alla fine non gli do la colpa della mia sofferenza, Lui ha trovato in me esattamente quello che queste persone cercano ovvero sensibilità, generosità disponibilità estrema e anche gratificazione sociale e in fondo io posso allontanarmi da questa sua brutta realtà mentre lui ne è prigioniero .
Crede che la sofferenza i vuoti di cui spesso mi parlava la solitudine alienante che sente e di cui mi diceva possono trovare un po' di pace se assistito con una giusta terapia..o no?
Inoltre le sembra probabile che una persona affetta da tale disturbo possa per qualche ragione sottesa al disturbo colmare questi vuoti e questa inadeguatezza ed insicurezza cronica facendo uso di sostanze stupefacenti come l'eroina prima e cocaina ora?
Mi sento molto male a pensare alla qualità tremenda di vita interiore ed emotiva che lui avrà...
Grazie della considerazione e della risposta
Buon lavoro e complimenti per il Suo lavoro
Claudiella
Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Claudiella,
io credo che l'unica cosa che lei può fare per aiutarlo veramente è distaccarsi da lui con forza, decisione. Lui tenterà per tutta la vita di monopolizzarla, utilizzarla ai sui bisogni con una modalità usa e getta. Nella sua mente non si separerà mai da niente. Ma, questa è la sua sofferenza.
Lo lasci andare, non cada nelle sue seduzioni. Solo l'esperienza del vuoto lo potrà aiutare a chiedere veramente aiuto e a mettersi in gioco con qualcuno.
Aggiunto: Giugno 28, 2018
Inserito da
Pseudonimo: Clotilde
Pseudonimo: Clotilde
Domanda allo psicoterapeuta:
Carissimo dottore... Ma è un caso oppure no il fatto che ogni giorno mi ritrovo con il nome (della persona che ho convissuto tanti anni e poi se n'è voluta andare) da tutte le parti... In un film, mentre ascolto la radio mamme che chiamano i loro figli... Ogni giorno..... Anche 3 o 4 volte nella stessa giornata.... Forse è il mio pensiero ? Qnd o eravamo insieme senza parlare pensavamo le stesse cose addirittura una sera mi portarono in ospedale e lui che non viveva con me mi ritrovo senza sapere in quale ospedale mi avevano portato.. Grazie x la risposta
Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Clotilde,
non lo so se sono fenomeni sincronici eppure no. Quello che so si certo è che lei deve vivere come se questi non accadessero. Coltivarli nei suoi pensieri è inutile se non dannoso. Noi non siamo fatti per gestire questi fenomeni. Possiamo solo osservarli, ammirarli se vuole ma, basta.
Aggiunto: Giugno 26, 2018
Inserito da
Pseudonimo: Marco
Pseudonimo: Marco
Domanda allo psicoterapeuta:
Gentile dottore,
Grazie per il consiglio. Il colloquio si avvicina e col avvicinarsi della data sta crescendo l ansia che tempo addietro non avevo. Volevo chiederle una domanda. Lo so che non è il suo settore, però lei aiuta tutti. Ho paura di una domanda. Io con un buon curriculum non sono mai stato chiamato per un colloquio di lavoro e ho paura che mi venga posta la domanda del tipo come mai con un buon livello di istruzione e esperienze lavorative svolte per mantenersi gli studi, lei non riesce a trovare un impiego? La mia risposta sincera è di dire non lo so però non so come la potrebbe pensare uno psicologo del lavoro.
Grazie.
Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Signor Marco,
la sua non è una domanda "sciocca". Essa include tutta una serie di questioni che potremmo sintetizzare con "perché?". Perché non ho ancora fatto questo, quello? Perché non mi hanno ancora cercato? Perché? Perché?....
Non conosciamo quasi mai la risposta, dato e non concesso ci sia un perché. Ma, lo scopo nella nostra vita, a meno che uno non sia in analisi, non è quello di dare delle risposte, quasi sempre sbagliate o per lo meno inutili ma vivere nella speranza, certezza di un futuro.
Non si tratta di allucinare con fantasia infantili ma, riconoscere ciò che abbiamo e esserne contenti.
Questa è la speranza: io ho, sono questo e posso condividerlo con altri.
Aggiunto: Giugno 26, 2018
Inserito da
Pseudonimo: Marco
Pseudonimo: Marco
Domanda allo psicoterapeuta:
Dottore, mercoledì ho un colloquio di lavoro per un impresa ferroviaria che opera in regione Lombardia. Prima colloquio di gruppo e poi colloquio individuale per la posizione di capotreno. Non so come vestirmi. Sono un tipo serio e laureato e avevo pensato per giacca e cravatta anche perché la divisa ferroviaria è giacca e cravatta. Sbaglio o sarò giudicato come un 30enne molto serio. Avevo pensato anche di andare elegante con un pantalone e una camicia ma non saprei proprio. Mi scuso se la domanda può sembrare stupida ma lavorare in un impresa ferroviaria è stato sempre il mio sogno oltre che una passione. Vorrei dare una buona impressione. Avrei infine un ultima domanda. Se mi chiedessero perché vorrei fare questo lavoro, sarei convincente se dicessi per la passione dei TRENINI?
Risposta del Dott.Zambello: Ma! Forse un po' troppo volutamente infantile per uno che dovrebbe fare il capotreno.
Ci vada vestito in maniera sobria, senza alcun vezzo ma naturale rilassato.
In altre parole: sia se stesso e lasci i "trenini" a casa.
Auguri
Aggiunto: Giugno 20, 2018
Powered by PHP Guestbook 1.7 from PHP Scripts
Pseudonimo: Bianca
Domanda allo psicoterapeuta:
Buonasera Dottore,
Ho 28 anni, lavoro, sono laureata e ho degli interessi. Mi ritengo una persona sensibile, che ha voglia di amare e di essere amata in modo sano ma mi ritrovo incastrata in una relazione da un paio d'anni con un uomo che é incastrato nelle sue stessi nevrosi. Ha un atteggiamento svalutante nei miei confronti nonostante dichiari di amarmi e sento che non é la storia giusta per me. So che é una storia d'amore tossico per me ma non riesco a chiuderla! Mi sento completamente in balia dell'umore dell'altro, per non parlare del fatto che la cerchia di amicizie si sta stringendo sempre più per via delle sue gelosie... Insomma come si fa a volersi più bene e a trovare il coraggio per star bene anche un po' da soli? Non lo amo più ma meglio qualcuno che ami in modo malato piuttosto che nessun amore.. La famiglia e gli amici non colmano quel tipo di vuoto ma so che prima o poi devo uscirne per la mia salute mentale. La ringrazio!!
Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Bianca,
un solo pensiero: se il vostro rapporto, come lei dice, è tossico, la responsabilità è di tutti e due.
Se è così, serve a poco liberarsi di lui, lei poi, cercherebbe la stessa situazione. Ha bisogno di questo.
Vuole uscirne? Si fermi, si chiarisca dentro e poi, decide.