Domanda allo psicoterapeuta:
Gent.mmo prof.Zambella, sono una donna di 54 anni faccio l'infrmiera in psichiatria da una vita con grande passione. Altrettanta passione ho dedicato al mio matrimonio finito in 10 anni e in cui credevo di essere stata vittima, ora ho il dubbio invece di essere stata il carnefice (ma c'è poi una reale differenza?) poi un grande amore, ma lui era sposato siamo stati insieme per 13 anni e sono stati i più belli per me. Quando la moglie ha deciso di accorgersene e' iniziato uno stolking e un mobbing (alcune sue conoscenti erano mie colleghe. Alla fine ci siamo allontanati, incapaci di reggere la situazione. Dopo circa 1 anno ho preso in affido una bimba di 10 anni, e' stato amore a prima vista, ma il compagno della madre l'ha molestata cosi il giudice ha allontanato definitivamente la bimba( io ero conosciuta da entrambi i genitori cosi non ho potuto tenerla con me, comunque la nuova famiglia affidataria ha preso contatti e ora la vedo regolarmente. Dopo un periodo difficile (minacce di tagli e altri atteggiamenti autolesionistici)ora lei sta bene, e' diventata più forte, la vedo più sicura nel muoversi nel mondo!! Io invece mi trovo in un deserto sto male, ho un senso di disperazione dentro che mi impedisce di fare anche le cose più semplici, faccio il minimo indispensabile sia a lavoro che a casa, mi sento abbandonata, piango perché nessuno mi ama come quando ero bambina e ho paura....ogni passaggio della mia vita è in discussione e quando non sono in dialogo interno a colpevolizzarmi mi ritiro in un mondo di sogni ad occhi aperti dove sono l'intepida eroina che salva il mondo...e la domanda? Dirà lei eccola: Da dove comincio?
Risposta del Dott.Zambello: Dalla consapevolezza che il suo progetto, forse, "narcisistico" sta crollando.
Lei ha la possibilità di salvarsi ma, deve chiedere aiuto.
Per quello che so io, la psicoanalisi è uno degli aiuti che lei può cercare. Non si illuda, nessuno cresce da solo. Si può sempre ricominciare. Jung pensava che a 50 anni si può fare la "vera" psicoanalisi. I giovani diceva, perdono molta energia a tenere a bada le loro pulsioni.
Aggiunto: Giugno 11, 2015
Domanda allo psicoterapeuta:
Buonasera Dottor Zambello,ma se uno volesse diventare psicanalista junghiano come lei,potrebbe sapere quali sono i libri che lei ha studiato?Proprio i suoi?
Risposta del Dott.Zambello: Strana domanda, vorrebbe conoscere la mia biblioteca. So di deluderla, o forse lei già lo sa ma, non ho una ricca biblioteca, anzi. La mia formazione è passata soprattutto attraverso l'ascolto, l'osservazione prima dei maestri, poi dei pazienti. Il lavoro dell'analista è molto simile a quello dei vecchi artigiani. Si va a lungo "a bottega", a imparare dagli altri.
Poi, a dirle il vero, sono onnivoro, leggo di tutto e sempre, semplicemente perché mi piace. Nulla più.
Quali sono i pilastri della formazione Junghiana e quindi anche i miei? Freud, Jung, Hillman ma anche Fromm, Bion, la Klen, la figlia di Freud, Anna Freud che ha scritto un libretto che è diventato la pietra angolare di tutta la psicoanalisi: I meccanismi di difesa dell'Io. Quando ero giovane, ho letto e conosciuto, Fornari, Davide Lopez. Li ho amati. Ma è così sterminata, immensa la letteratura, anche quella specifica che, quello che ho letto è incommensurabile rispetto al tutto. Sono però consapevole che la "formazione", soprattutto di un medico è altro, oltre alla conoscenza della letteratura, che è comunque indispensabile. Personalmente mi sono interessato a lungo di Ipnosi, ho letto Milton Erickson e di Grafologia, quella di Marco Marchesan. Ora non le pratico ma credo facciano parte di me. Come fa parte di me, anche come psicoanalista, 15 anni di pratica e studio della odontoiatria. I corsi del Prof. Mario Martignoni odontoiatra, li ricordo ancora come una delle più ricche esperienze culturali che io abbia fatto.
Mi scusi, so che non sono stato esauriente ma, la verità è che mi sento, tanto, tanto ignorante e so che devo fare ancora molto.
Aggiunto: Giugno 10, 2015
Inserito da
Pseudonimo: Margherita
Pseudonimo: Margherita
Domanda allo psicoterapeuta:
Buongiorno Dottor Zambello.
Cosa ne pensa lei dell'indipendenza dei figli? È giusto tenerli legati alla famiglia o lasciarli andare anche lontano?
Io sono sempre stata una figlia molto indipendente. Non ho mai amato sentirmi costretta. Appena ho potuto sono andata via di casa e mi sono resa indipendente e da allora non ho mai chiesto un euro alla mia famiglia.
Ciò però mi viene sempre fatto pesare. Sono sempre etichettata (ma fin da piccola è successo questo) come la "selvatica". Io invece amo la mia indipendenza e amo la solitudine. Non sono un'eremita dottore, sono sposata e adesso ho tre bambini.
Amo le serate in compagnia, le mangiate con gli amici ma amo tanto e ne ho proprio bisogno di "miei" momenti di solitudine. Certo non scappo, non ho mai lasciato soli i miei figli. Ma quando sono a casa da sola e loro sono in giro col papà o a scuola io mi occupo di stare sola con me stessa. Forse sono strana.
Da quando però i miei genitori sono cresciuti di età mi viene sempre più fatta pesare questa cosa. Loro ( vivono separati e senza compagni) vorrebbero vivere vicino a me (ma stanno solo a 3/4 km da qui), vorrebbero che ci frequentassimo tutti i giorni, che la domenica mangiassimo sempre insieme (si figuri il mio piacere, io che vorrei scappare anche alle feste comandate), tentano ogni tanto di provare la carta delle vacanze insieme.
Io invece amo stare con mio marito e i miei bambjni. Il lavoro ci tiene impegnati tutta settimana tutto l'anno e i miei momenti liberi li vorrei dedicare a loro.
Non voglio cadere nella tiritera del "quando io ero piccola/giovane" e loro nel fior fiore degli anni, questo attaccamento guarda caso non c'era. Non voglio parlare di colpe o di essermi abituata a una loro mancanza. Ma io sono così. Alla soglia dei 40 sono così. Con questo gli voglio bene, li frequento e certo ci sarò quando avranno bisogno ma é così disdicevole il mio modo di essere?
Penso sempre che avrei dovuto andare a vivere lontano un po' come frequentemente accade in altre parti del mondo quando i figli crescono.
Oltretutto questa oppressione non fa altro che farmi scappare.
Come si può dopo 40anni non aver ancora capito il carattere di una figlia?
Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Signora,
lei ha ragione, la vita è sua, non di sua madre, padre. Lei è chiamata a viverla investendola su la sua famiglia, lavoro, ricerca "spirituale". Ma, è faticoso, faticosissimo. Anche lei, ad esempio, perchè vorrebbe che i suoi genitori fossero diversi da quello che sono? Ripete anche lei, specularmente, le stesse cose dei suoi genitori. Loro vorrebbero una figlia diversa e lei, dei genitori diversi. Li lasci "cantare" e faccia quello che le piace e ritiene giusto.
Il Vangelo in questo è illuminante:
"In quel tempo, giunsero la madre di Gesù e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare.
Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano”.
Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli!....." Mc 3,31-34
Aggiunto: Giugno 10, 2015
Inserito da
Pseudonimo: Aldo
Pseudonimo: Aldo
Domanda allo psicoterapeuta:
Buonasera dottore. La mia compagna è rimasta interdetta da quanto è successo durante il primo colloquio con una psicoanalista: la dottoressa ha proposto due sedute settimanali argomentando che una seduta settimanale non riesce a configurare un rapporto prettamente psicoanalitico. La distinzione fra psicoterapia e psicoanalisi è dunque basata sulla frequenza dei colloqui?
Grazie per la risposta!
Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Aldo,
no, non esistono parametri sicuri che possano delimitare la psicoanalisi dalla psicoterapia, chiamata impropriamente "di sostegno".
A mio avviso la differenza la fa il terapeuta o meglio, la sua formazione. E' il terapeuta che delimita il setting. C'è per la verità una definizione alla quale credo si rifaccia la collega che ha visto la sua compagna. Il lavoro psicoanalitico si basa prevalentemente sul transfert, cioè su ciò che il paziente vive li, in seduta, ripetendo con il terapeuta le proprie tematiche interne e permettendo allo stesso di leggerle e ridarle al paziente come interpretazioni. In fondo è questa l'essenza della psicoanalisi. La psicoanalisi non si fa carico del sintomo ma, permette al paziente, attraverso le interpretazioni del
transfert, di capire come lui funziona.
Perché questo sia possibile, spesso c'è bisogno di una frequentazione che non sia settimanale, in quanto questa potrebbe spingere il paziente a raccontare ciò che è accaduto durante la settimana o a riportare il suo sintomo.
Però, è tutto soggettivo. Ho fatto psicoanalisi dove la frequenza etra trisettimanale e altre dove ci si vedeva una volta alla settimana e il transfert funzionava. Dipende.
Aggiunto: Giugno 4, 2015
Inserito da
Pseudonimo: Sarah
Pseudonimo: Sarah
Domanda allo psicoterapeuta:
Grazie Dott. Per la celere e utile risposta. Sto
Riflettendo sul suo consiglio ed ha davvero ragione, ci penso troppo. Ma mi sento "prigioniera" nel mio ruolo di figlia, ma mi creda, non per mio volere. Mi chiedo come per fare per andare oltre. Come fare nel
Momento in cui una persona mi dice "vendo
Casa e vengo a vivere vicino a te" per ignorarla? Come
Fare quando mi chiama per dirmi (sempre solo a suo comodo) sto arrivando? Fingo di non esserci, non rispondo al telefono?
Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Signora,
la separazione non è mai "esterna" ma "interna", dentro di noi, una conquista. Poi, troverà le parole giuste per renderla chiara anche agli altri.
Sono d'accordo con lei, è difficile, ma è l'unico modo per crescere ed aiutare gli altri a farlo.
"Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne...." Mat. 19,4
Aggiunto: Maggio 31, 2015
Inserito da
Pseudonimo: Sarah
Pseudonimo: Sarah
Domanda allo psicoterapeuta:
Buongiorno Dott, vorrei sapere la sua opinione in merito alla mia situazione.
Sono figlia di genitori separati dall'età di sei anni. Il classico pacco postale usato dai genitori per farsi la guerra. Son passati 30anni e la storia continua.
Da quando avevo 13 anni mia mamma ha un nuovo compagno con cui però non è mai andata a convivere. Lui era il classico uomo che non voleva responsabilità e che cercava di tirare mia mamma fuori dalla famiglia piuttosto che entrarci lui.
Per cui io sono per anni rimasta completamente sola durante le feste, i week end, le ferie estive ecc ecc.
Da ragazzina ogni sera ero a casa sola. Qualche mese fa ho scoperto che lei (mia mamma) nemmeno si ricorda, o fa finta di non ricordare, quante volte si è dimenticata di me. Ora sono adulta e ho finalmente la famiglia che mi è sempre mancata grazie ai miei suoceri,
Mio marito e i miei figli. Mia madre noto spesso che vorrebbe essere più coinvolta (solo
Quando vuole lei però) ma io non ne ho davvero voglia. Non posso dire che tra di noi ci sia un brutto rapporto, ci sentiamo tutti i giorni più volte al giorno, ci vediamo ogni tanto ma io non ho mai dimenticato il suo mettermi sempre dietro ad ogni suo desiderio. Ho passato tutte le mie gravidanza sola, anche quando stavo male. Mi è capitato di avere i bambjni in ospedale e non ho mai avuto un cambio da lei.
Era sempre impegnato col suo compagno che se messo in secondo piano l'avrebbe lasciata seduta stante.
Ora lui sta male, parecchio male. Mi dispiace ad essere sincera. Ma, nella mia cattiveria forse, mi ritrovo più preoccupata a pensare cosa accadrebbe se lui venisse a mancare. Già pochi giorni fa mia madre ha espresso la volontà di cambiare paese se dovesse trovarsi sola e venire a vivere qui dove stiamo noi. Al solo pensiero mi son sentita soffocare.
Come può essere che dopo una vita passata a dimenticarsi di me ora sia così "sfacciata" da dirmi chiaro che una volta sola è meglio stare qui attaccata a noi? Ogni volta che viene a casa mia io mi sento friggere. La vedo come un'intromissione nella MIA famiglia, quella
Che mi sono costruita, quella che non mi ha mai dato lei per egoismo suo e non voglio assolutamente che ora che si trova la pappa pronta voglia farne parte.
Mi do quasi fastidio per questa cattiveria che provo giorno dopo giorno.
Risposta del Dott.Zambello: Ho l'impressione che lei dedichi un po' troppo tempo a pensare a sua madre. Non solo perché, sta fin troppo a sentirla ma soprattutto, perché ci pensa troppo.
Certo, lei bambina ha sofferto, è stata, forse, una madre inadeguata ma, ora basta. Lei ha la sua famiglia ed è brava, non ha chiuso il rapporto con sua madre ma, la lasci la dove è. Eviti con tutte le sue forse che si infili nella sua famiglia.
Non la deve odiare ma, andare oltre, perdonare.
Aggiunto: Maggio 30, 2015
Domanda allo psicoterapeuta:
salve, avrei un problema piu che mio e di mio figlio che a 23 anni, che dopo una reazione di un vaccino fattogli il secondo giorno dalla nascita, gli fece reazione che fummo costretti a farlo ricoverare allo stesso ospedale dove e nato. mio figlio a problemi che non parla correttamente non riesce a scrivere e tanto meno a leggere. dalla 1 elementare fino alòla 4 superiore e stato seguito da insegnanti di sostegno,con il fatto che il suo diploma era nullo ,perche riusciva a malapena a scrivere il suo nome, una vita difficile per lui sempre preso in giro ,tuttora che a 23 anni .e 6 anni che cerca un lavoro ,ma figuriamoci chi assumerebbe un ragazzo che non legge non scrive e a grosse difficolta nell'esprimersi.allora o pensato di fare domanda per una categoria protetta,rifiutata , non invalido, difatti mio figlio non e invalido ma a dei problemi,che se non a avuto diritto o capacità di studiare non possiamo considerarlo come uno qualsiasi.ora mi e stato chiesto da un patronato di fargli fare una visita da un neuropsichiatra privato,a chi mi posso rivolgere ,a prato o firenze? perche la valutazione della neuropsichiatra dell'usl non ritengo sia adeguata a mio figlio,addirittura una volta ci siamo incontrati mio figlio sua madre io e la psicologa e ad un certo punto lei esce con un discorso che mio figlio non a avuto voglia di studiare e parlare,quando mio figlio a passato le pene dell'inferno nella sua vita. piange per sforzarsi a parlare .io non avevo voglia da piccolo non o mai studiato, ma so scrivere so parlare ,mio figlio non potrebbe mai scrivere una lettera,neanche dirvela,per l'azienda usl invece e tutto normale ,se potete aiutarmi a fare qualcosa per mio figlio,che sta campando grazie a me ,se domani io muoio lui che cosa fa .grazie per l'attenzione e scusate gli errori..
Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Gian,
la ringrazio per la fiducia ma forse non sono la persona più adatta a darle un consiglio per suo figlio.
Provi a contattare il Dott. Devescovi Pier Claudio
Via Bartolomeo Sestini, 58 51100 - Pistoia 0573451252
il quale oltre ad essere uno Psicoanalista è un Neuropsichiatra.
Non so la sua disponibilità e dove riceve.
Aggiunto: Maggio 29, 2015
Inserito da
Pseudonimo: Paola
Pseudonimo: Paola
Domanda allo psicoterapeuta:
Buongiorno dotttore,le scrivo per la seconda volta poichè ancora non ho ricevuto risposta e il problema sta aumentando dato che anche io e mio marito stiamo cadendo in depressione...
le spiego i fatti.Ho un figlio di vent'anni che all'epoca del liceo ha subito diverse umiliazioni da parte dei compagni dei quali lui si fidava e credeva amici,ha avuto anche parecchi episodi di ansia tanto che si è dovuto ritirare e finire la scuola da privatista.Per due anni è stato seguito da uno psicologo, ma probabilmente non era "quello giusto", tanto chenon è più voluto andare. Da allora la situazione è peggiorata, si è isolato da tutti, frequenta l'università fuori sede,psicologia,con scarsi risultati, non è riuscito a fare amicizia con nessuno, si sente inadeguato in ogni circostanza che lo porti ad avere contatti con le persone,non esce mai perchè dice che non vuole incontrare persone che lo conoscono, passa le giornate chiuso nella sua stanza al pc dove invece riesce ad avere amici virtuali e si è anche legato ad una ragazza che vive lontano e con cui si è visto qualche volta, lei presto si trasferirà vicino a lui per studiare, ma ho paura che se lui non riesce a star bene con se stesso il rapporto avrà grandi problemi.Dice che nessuno può aiutarlo e che la sua è una vita inutile.Mio marito ed io non sappiamo più che fare per aiutarlo ad uscire da questo tunnel che sembra senza uscita.La prego, mi dia un consiglio,grazie per la risposta. Paola
Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Paola,
mi dispiace ma, non credo di aver visto la sua precedente lettera.
Comunque, il problema non è di facile soluzione, primo perché per avere una diagnosi e una proposta terapeutica da un medico, psicoterapeuta, bisogna andarci, chiedere aiuto. Suo figlio sembra non volerlo fare e, nessuno può obbligarlo a farlo.
Comunque, io non sarei così pessimista. Suo figlio studia psicologia, ha superato il test di entrata e ha trovato una ragazza che se pur momentaneamente lontana è disposta ad avvicinarsi a lui per stargli vicino. Mi sembrano dati importanti.
Io non conosco suo figlio e tanto meno voi genitori ma, a naso, ho l'impressione che i "più problematici" siate voi genitori. Chiedetevi ad esempio quanto veramente volete che vostro figlio diventi autonomo, viva le sue esperienze, faccia le cose che gli piacciono. Piacciono a lui, non a voi.
Aggiunto: Maggio 29, 2015
Inserito da
Pseudonimo: Rivaglass@yahoo.it
Pseudonimo: Rivaglass@yahoo.it
Domanda allo psicoterapeuta:
Salve....convivo da cinque anni é il mio ragazzo non riesce ad avere un erezione con me ma ho scoperto che riesce pensando ad altre donne conoscenti e mie amiche...vi prego aiutatemi a capire
Risposta del Dott.Zambello: Non lo deve chiedere a me ma, al suo ragazzo.
Gli proponga una terapia di coppia o una visita da un sessuologo o, prendette atto che la coppia é finita.
Aggiunto: Maggio 28, 2015
Powered by PHP Guestbook 1.7 from PHP Scripts
Pseudonimo: Wub
E-mail: Contatti
Domanda allo psicoterapeuta:
Buongirono Dottor Zambello, posto il fatto che non si possono fare diagnosi online volevo chiederle un parere e un consiglio su quella che è la mia problematica.
Dunque dividerei il mio disturbo in due grandi filoni, il primo comprende pensieri, immagini e sensazioni disturbanti e ripetitivi, il secondo comprende una grossa difficoltà nello stare con le altre persone.
Per quanto riguarda la prima sfera, pensieri tipo sono "non riuscirai a studiare"; "non riuscirai a essere normale"; "non riuscirai a guarire"; immagini violente di natura sessuale dal contenuto disgustoso; paura di aver inghiottito qualcosa di tossico (come detersivi) solo per averlo guardato con relativi controlli sul fisico; sensazione perenne di avere la testa piena di pensieri ; grosse difficoltà nello studio e nella lettura (non sono dislessico o con deficit di attenzione) poichè ho autoconvinzioni relative al fatto che non riuscirò a studiare o a leggere quindi quando mi accingo a svolgere tali attività è come se la mia mente autogenerasse dei blocchi che mi ostacolano. (questo ultimo pensiero è nato dopo che un giorno mesi fa ho pensato "e se non riuscissi più a studiare?" con relative immagini catastrofiche del mio futuro.
La seconda sfera invece mi fa stare a disagio con le altre persone per paura che mi trovino ridicolo quando parlo con loro, ho paura di disturbare una persona parlandogli, sono imbarazzato nel mantenere il contatto visivo con una persona che mi ritrovo di fronte(ho paura di risultare buffo oppure aggressivo).
Nei rapporti sociali non riesco a esprimermi liberamente, mi sento infatti irrigidito nel comportamento, come se qualsiosi cosa che io faccia sia controllata da una sorta di "giudice interiore", zero spontaneità e naturalezza.
Sostanzialmente non riesco ad agire senza pensare, è come se stessi controllando tutto ciò che faccio e ciò che succede intorno a me.
E' come se mi fossi tagliato fuori dalle relazioni, nel senso che quando vedo una ragazza che mi piace mi autoescludo a priori dal provarci, limitandomi al massimo a diventare suo amico, è come se guardassi la vita degli altri scorrere invece che agire spensieratamente nella mia.
Gli altri dal mio punto di vista (erroneo) hanno sempre un qualcosa in più di me, sono "normali" invece io penso che gli altri mi considerino diverso,mi vedano come sfigato, patetico e questo sentimento non posso eliminarlo semplicemente imponendomi di pensare diversamente.....potrebbe anche essere un castello di carta che mi sono costruito nel corso degli anni.
Vorrei una ragazza ma al tempo stesso sono completamente bloccato poichè non mi sento in grado di avere una relazione, perchè ho paura che poi mi vengano dei pensieri ossessivi negativi su di lei che mi rendano la relazione un inferno e perchè ho paura che mi venga l'ansia quando dovrò uscirci assieme e gli altri mi vedranno.
Tutto ciò condito con un senso di angoscia perenne, come se "non stessi vivendo bene", una sensazione che non riesco a classificare come ansia ne come tristezza da depressione , una sorta di malessere non meglio esplicabile.
Grazie molte per l'attenzione!
Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Signor Wub,
se ho capito bene lei è un ventenne. E' nel pieno delle sue forze, pulsioni ma, inevitabili incertezze, paure.
C'è un pericolo che lei corre ed è che queste paure si incistino e i suoi comportamenti evitanti la spingano a restringere sempre più il suo cerchio vitale: la scuola, il gruppo di amici, poi il lavoro. Risultato, chiudersi come un riccio.
Ho l'impressione che lei abbia la possibilità di scrollarsi questo grosso fardello ma forse, non ce la farà da solo, deve chiedere aiuto. Si faccia aiutare da uno/a psicoterapeuta. Potrebbe accorgersi che in fondo il viraggio verso "il piacere" di vivere non è poi così lontano.