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Domanda allo psicoterapeuta:


Buongiorno, mi chiamo Marcello e sono il papà di Matteo, 10 anni, frequentante la 5° elementare.
Matteo presenta alcuni problemi (disturbi? Atteggiamenti normali?) che cercherò di spiegare come meglio riesco. E’ molto agitato, gli riesce difficile stare fermo (a leggere, fare i compiti); ha problemi di attenzione e concentrazione, sembra sempre iperattivo. Inoltre “mastica” convulsamente penne, gomme, matite; mette in bocca tutto poi (cerniere, maglie) .
A volte agiamo con punizioni (TV, giochi elettronici) quando viene ripreso da maestre, e/o quando non si comporta bene in casa.
Caratterialmente sembrerebbe un po’ debolino, ma in diverse occasioni, scolastiche e non, dimostra una buona intelligenza, proprietà di linguaggio ecc.
Potrebbe essere un problema organico (tiroide?) o Come potrei aiutarlo, come genitore/educatore?
Siamo molto preoccupati perché non sappiamo come aiutarlo
Grazie
Marcello

Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Marcello
Lei descrive Matteo come un bambino che soffre di ADHD, sigla che sta per "per sindrome da deficit di attenzione e iperattività". Chiaramente non lo so se sia così però, non ho dubbi nel consigliarle di portare Matteo da un neuropsichiatra infantile.
Non perda tempo con psicoterapie comportamentali, a quella eventualmente ci arriverà dopo che è stata fatta una diagnosi. Lo porti in un servizio di Neuropsichiatria infantile in un ospedale, meglio se in un reparto universitario. Se lei è della zona di Milano, vada al San Gerardo a Monza dove c'è la brava Dottoressa Neri.


Aggiunto: Febbraio 23, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Carissimo dottore grazie x la tempestività.volevo spiagare un pochino meglio la mia situazione,in verità è la terza volta che mi succede la prima a 17anni la seconda a 28 e adesso cioè a 38 anni,i tre episodi hanno sempre avuto una durata di circa tre mesi in mezzo ovviamente la fase più antipatica,le tre fassi hanno per altro una coincidenza,cioè sempre nello stesso periodo di fine novembre fino alla fine di febbraio metá marzo.hanno in comune pure i motivi piu o meno,a volte problemi in famiglia , economici e magari coincidendo con momenti di poca autostima ed è fatta!!mi sono sposato a 22anni,è ho fatto tutto o quasi da solo con mia moglie,abbiamo sempre avuto un forte senso del dovere e non abbiamo mai fatto mancare nulla di importante alle nostre figle.torndo a me dottore vorrei dirle pure che non ho mai avanzato richieste di aiuto r steanamente sono sempre guarito se così si può dire, da solo ,ma veramente.....(forse quel senso del dovere verso i figli mi ha aiutato molto?)certo non posso dire che è stato facile,e dei cambiamenti gli ho subiti ovviamente,ma oggi però sono arrabbiato di ciò...e vorrei porre rimedio ,dato che ho paura dei farmaci e possibile riuscire senza?come?e in quanto tempo?ad oggi comunque nessuno oltre i miei sanno,ne immaginano ne hanno mai capito qualcosa....sono un ottimo stratega,ma mi sto stancando....geazie mille dottore aspetto con ansia una sua risposta...

Risposta del Dott.Zambello: Grazie a lei Daniele, per la sua riconoscenza. Comunque venendo a lei, premesso che le mie sono solo ipotesi, mi pare che ciò che lei mette in atto come forma di difesa è la razionalità sostenuta da una forte volontà. E' come se vestisse una corazza, bella se vuole ma, una corazza. Questa a lungo andare pesa e soprattutto le impedisce di crescere. Il perchè lei abbia utilizzato queste difese e come siano strutturate dentro di lei, non lo sa lei e tanto meno io. Solo una psicoterapia dinamica potrebbe aiutarla a sbrogliare un po' la matassa. Insisto nella necessità di un sostegno farmacologico, non come risolutivo ma, indispensabile per evitare che alcuni meccanismi, anche biologici si cronicizzino.
I tempi, costi, modalità di una possibile terapia vanno vagliati assieme al terapeuta.


Aggiunto: Febbraio 20, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Salve dottore,e grazie anticipatamente.
Ho 38anni e da circa 4-5 non vivo piu una vita rilassata e piena di prospettive,per problemi di lavoro stress della vita grande crisi economica ritmi della vita sempre più incalzanti ecc..oggi da circa tre mesi e dopo svariate ricerche,credo di soffrire di fobia sociale.
Non risco piu ad avere colloqui con la gente,in banca o con amici,a scuola per mia figlia o sul posto di lavoro(quando c'è)non mi va di uscire perche ho paura degli altri,in certe situazini inizio a sudare,arrossire,secchezza della gola e confusione mentale,mal di gambe e a volte poi il mal di testa.premetto che dentro me però vorrei fare tutto quello che devo evitare per forza maggiore,e sono sempre stato un po fragile ma anche relativamente coraggioso,con gli amici ho sempre avuto un ruolo di rilievo ecc...oggi sono davvero nel panico,mi aiuti a capire cosa è esattamente e come posso riprendermi la mia vita.ho famiglia e ci tengo molto ,non voglio perdere tutto quello che ho e francamente inizio a preoccuparmi....

Risposta del Dott.Zambello: Gent.mo Daniele,
evidentemente lo stress lavorativo e le preoccupazioni economiche hanno svelato, fatto venire a gala un suo "nucleo nevrotico". Un po' come una ciste che se ne stava li, silente per decenni e improvvisamente scoppia, si fa sentire e vedere. Pensi ad un granuloma sotto un dente. Non è che quando scoppia, si gonfia la guancia, sia arrivato in quel momento. C'era già prima ma, i sistemi di difesa lo tenevano sotto controllo. Che fare? Bisognosa curarlo. Le vie sono due, mi riferisco al suo disagio psicologico: la via farmacologica e quella psicologica. La via farmacologica, subito. Vada da un medico di cui si fida, meglio se uno psichiatra, ma anche il suo medico di base e, si faccia prescrivere degli antidepressivi. Li dovrà prendere per un tempo sufficientemente lungo, almeno sei mesi ma vedrà che già dopo 15 giorni comincerà a sentirsi meglio. Poi, parallelamente, subito o, quando avrà voglia, dovrà affrontare, la vera cura: una psicoterapia. Sarà quella che la aiuterà a rimuovere le cause del suo disagio.


Aggiunto: Febbraio 19, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile dott. Zambello,

Sono in terapia da 5 mesi con uno psicologo di orientamento umanistico. La terapia pare andare bene, in questi mesi ho fatto progressi soprattutto sul piano relazionale e sentimentale.

Sin dalle prime sedute ho notato che il modo di lavorare di questo psicologo è completamente diverso da quello delle psicologhe che per un breve periodo mi seguirnono quando ero adolescente.

Lui, ad esempio, dà del tu ai pazienti, la stessa cosa faccio io (anche se non è stato facile). È tutto tranne che neutrale, a volte mi chiede di consigliargli un libro o una libreria da visitare (cosa che mi rifiuto di fare). Sa che sto cercando lavoro e se capita mi sottopone annunci che pensa potrebbero interessarmi o mi dà informazioni pratiche utili alla ricerca. In più di un'occasione mi ha raccontato aneddoti personali (lavori che ha fatto in passato, una cicatrice che ha...).

Gli ho detto chiaramente che trovo questo suo metodo non consono e pericoloso, pur se so che lo utilizza solo a fini terapeutici e che fa parte della sua formazione. La risposta è stata: “io lavoro così”. Il fatto è che così facendo inevitabilmente mi sto affezionando a lui come persona, il che renderà il distacco, prima o poi inevitabile, doloroso. Lui mi ha detto che l’instaurarsi di un legame affettivo è necessario al buon funzionamento della terapia.

Mi chiedo se questo uscire dai ruoli classici, pur con le migliori intenzioni, non rischi di arrecare ulteriori problemi e sofferenze al/alla paziente.

Risposta del Dott.Zambello: In psicoterapia ci sono delle teorie, dei protocolli di di intervento terapeuti, non delle verità.
Freud pensava che lo psicoanalista deve essere come uno schermo bianco, Jung teorizzava che il terapeuta deve "fondersi con il paziente", coinfettarsi col paziente. Avevano ragione entrambi, per il semplice fatto che quel modo di comportarsi, come dice il suo terapeuta, corrispondeva a loro, anche come persone.
Se mi concede una fantasia, mia, forse il suo terapeuta la vuole "fermare un po'", darle la possibilità di trovare, sperimentare un po' di casa, di patria, la sua, casa, patria.
Lei quello che chiede è già nel suo nickname: migrante.


Aggiunto: Febbraio 8, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile dottore, ho letto una frase di P.B. Shelley che dice "Anche un po' di depressione e' troppo".
Io sprofondo nella depressione cupa, violenta, implacabile.
Il mio psicanalista dice che non e' il caso di farmi prescrivere dei farmaci antidepressivi perche' potrebbero alterare il percorso di analisi. Dice che certi dolori e certi lutti vanno elaborati. Con calma. Fino a quando la psiche avra' cicatrizzato le sue ferite.
Pero' sto male. Sono molto tentato dall'idea di farmi visitare da uno psichiatra. Sono stanco di vivere cosi', di sprecare gli anni vedendo tutto grigio, anche se riconosco i lentissimi progressi dell'analisi.
Secondo lei, una cura di psicofarmaci antidepressivi potrebbe davvero compromettere il mio percorso di analisi?
Grazie della sua attenzione.
Gianluca

Risposta del Dott.Zambello: Signor Gianluca,
è nel mio stile non intervenire nel lavoro fatto dai colleghi, anche perchè, lei me ne può dar atto, i rapporti sono così complessi che ogni parere dall'esterno, è per lo meno inopportuno. Però non posso omettere ciò che vado dicendo e scrivendo da tempo, la depressione è un disagio che richiede l'intervento sinergico di più specialisti: internista, psichiatra, psicoterapeuta. L'uno non è più importante o secondario dell'altro.
Detto ciò, è forse poetico ciò che scriveva P.B. Shelley ma, la vita è continuamente un susseguirsi di espansioni e contrazioni, di momenti up a momenti down, di stati ipo-maniacali a stati ipo-depressivi. L'oscillazione è vita, la stagnazione in uno stato, maniacale o depressivo che sia, è pericolosa.


Aggiunto: Febbraio 3, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Ciao Dr. Zambello,
mi chiamo Elisa e ho 15 anni. Non so perché ma da 1 mese a questa parte non mi sento più la ragazza allegra e sempre disponibile per tutti di prima. Non ho un motivo per sentirmi così,ho praticamente tutto:una famiglia a dir poco fantastica e molti,molti amici. Non ho più voglia di fare nulla,di studiare principalmente. Non ho mai avuto problemi a scuola,sono sempre passata con i massimi dei voti alle medie e adesso,prima liceo,ho sempre mantenuto una buona media. E’ tutto partito dal rientro dalle vacanze,7/01/2015,non sono riuscita a dormire per tutta la notte praticamente,ma vabbe pensavo fosse solamente per il fatto che dovessi riabituarmi ad andare a letto presto. Da questa insonnia mantenuta pure nei giorni successivi,siamo passati ad uno stato perenne di ansia. Pensavo fossero giorni un po’ così e che sarebbero passati,ma no! Sempre peggio,da una decina di giorni piango tutto il giorno e non riesco più ad essere l’Elisa,sempre sorridente e pronta a fare sempre battute di prima. Ho bisogno di andare nel lettone con mamma per riuscire a prendere sonno ed è come se fossi impaurita da qualcosa. So solo una cosa,voglio tornare come ero prima! Voglio tornare a uscire tutti i giorni coi miei amici e voglio tornare a provare interesse per qualcosa! E’ come se fosse tutto grigio,mi guardo allo specchio e vedo un’altra persona rispetto a come mi sento. Ho paura dottore,ho paura che non passi e che una volta superato questo momento i miei amici non ci siano più.. Non mi sento più all’altezza di fare nulla e non riesco a concentrarmi in niente! I miei sono molto preoccupati,mi hanno preso una visita con una psicologa riguardante il settore dell’adolescenza a breve.
La mia domanda è questa:è una cosa normale alla mia età sentirsi così? Come posso fare a farmela passare in poco tempo?
Scusi il disturbo,
cordiali saluti..
Elisa

Risposta del Dott.Zambello: Ciao Elisa,
si è normale, normalissimo. Penso che tu stia bene e non abbia assolutamente niente, se non la paura di crescere, come tutti gli adolescenti. Però, non è cosa buona che tu rimanga tanto tempo senza dormire bene e in uno stato di ansia. Chiedi ai tuoi genitori di portarti da un Neuropsichiatra infantile. Con lui, deciderete che terapia da fare. Non ti spaventare ma, fatti aiutare.


Aggiunto: Febbraio 1, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


In riferimento all' articolo: "scrivere in corsivo o stampatello?"

Salve, sono grafologo e Consulente giudiziario da molti anni ormai, vedo molti casi tutti i giorni, seguo famiglie e molti ragazzi e giovani adolescenti, e confermo che il carattere corsivo è la manifestazione più sorprendente ed efficace per arrivare a comprendere meglio il mondo affascinante e misterioso dell’infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza e della tenera età. Sarebbe opportuno insegnare ai ragazzi a scrivere meglio, a correggersi nel carattere corsivo, dare loro buone basi sin da bambini, sin dai primi approcci col carattere corsivo, io eliminerei lo stampatello in prima elementare, prima forma di vita di scrittura a scuola, inizierei proprio dal carattere corsivo. Il movimento, la continuità del tratto, l’espressione grafica, il ritmo, la particolarità della scrittura, l’energia pressoria, la sua significatività nel porsi sul spazio a disposizione, riflettono l’armonia o meno della personalità e traducono la coordinazione del pensiero , la variabilità delle emozioni, il desiderio di entrare o meno in contatto con gli altri, e con se stesso, sembrano associazioni illogiche, ma vi posso garantire che dagli studi di P. Moretti a quelli che ho condotto in questi anni di ricerca in moltissimi casi, la scrittura è il ritratto della persona. Non possiamo pensare ad essere statici, ingessati, tutti uguali, noi siamo unici e irripetibili!!! ed è proprio questo che si ricerca in grafologia nell’analisi di personalità. Teresa Addis

Risposta del Dott.Zambello: Grazie Dottoressa. Concordo con lei. Le auguro un buon lavoro.


Aggiunto: Febbraio 1, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Mi scusi non credo di aver capito bene quindi le chiedo un'ultima delucidazione. Mi sta dicendo che lui se ne è già accorto ed è contento poiché significa svolgere bene il proprio lavoro o che dovrei dirglielo e ne ne sarebbe contento?

Risposta del Dott.Zambello: Chiaramente non posso sapere cosa prova e pensa il suo terapeuta. Però, credo che lui sappia "leggere" ciò che lei porta, oltre il significato letterale delle parole.


Aggiunto: Gennaio 28, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Gentile Dott. Zambello, ho 27 anni e sono in terapia da due anni. Provo una gran attrazione nei confronti del mio terapeuta e anche se so che é un cliché sento davvero di provare qualcosa di importante per lui. Devo dirglielo affinché ciò migliori il nostro rapporto medico-paziente o rischio di essere cancellata dalla lista dei suoi pazienti? Come mi dovrei comportare? Grazie della disponibilità

Risposta del Dott.Zambello: Gent.ma Anna,
perché pensa il suo terapeuta come un deboluccio che non riesce a capire, contenere il suo affetto e fantasie. Sarebbe come pensare ad un genitore che si irrigidisce quando la figlia o figlio dichiarano: papà /mamma voglio diventare come te, quando sarò grande ti voglio sposare. E' un momento di grande intensità emotiva per entrambi dove il padre la madre capiscono che stanno facendo bene il suo lavoro di genitori. Non si confondono proprio, la realtà esterna sarà un'altra, ma internamente, le tappe sono ben diverse.


Aggiunto: Gennaio 27, 2015
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Domanda allo psicoterapeuta:


Buongiorno Dottore, le premetto che la stimo molto e vorrei tanto fare una psicoanalisi con lei, però per il momento non posso. Sono ancora uno studente universitario, agli ultimi esami di specializzazione di Ingegneria-matematica. Ho 24 anni, mi dicono un bel ragazzo e all'Università sono in corso, l'anno prossimo dovrei finire anche con la tesi sperimentale. I risultati scolastici sono buoni ma, sono tanto triste. Più che triste mi sento vuoto, come lacerato dentro. Il perché è presto detto, sono un omosessuale. O meglio, mi sento omosessuale ma non mi piacciono gli omosessuali e quindi non li frequento, non li incontro e se uno mi si approccia, lo schivo, scappo. Non ho mai avuto un rapporto sessuale. Mi sembra non potrei mai avvinarmi ad un uomo, mi fa ribrezzo l'idea, eppure mi piacciono, li desidero. Lo so che è folle, eppure è così.
Le aggiungo una cosa che forse le potrebbe servire. Sono un cultore di arte e musica e quando posso vado a vedere un mostra o a sentire un concerto mi piace ma, non colmo il mio vuoto interno.
Dottore, lo so che non mi può aiutare più di tanto ma, mi dica solo una cosa e comunque, grazie di aver letto questo sproloquio. Augusto

Risposta del Dott.Zambello: Buona sera Augusto, fino a pochi anni fa, anche nei convegni si usava distinguere fra omosessualità egosintonica ed egodistonica. Oggi per la verità non mi sembra che sia più tanto di moda distinguere l'omosessualità su queste categorie, eppure lei Augusto, sembra proprio vivere nella seconda, la egodistonica. Mi creda, per quel poco che ho capito io del funzionamento mentale, l'omosessualità, ma anche per la verità l'eterosessualità, con quello che lei descrive, non centra un bel niente.
La sue tematiche vengono ben prima dei genitali e conseguentemente dell'identità sessuale. Lei combatte con gli archetipi maschile e femminile, buono-cattivo, rude e dolce, etc. Trasportare questa lotta titanica ad una scelta genitale, sarebbe come voler illuminare la notte con una candela o svuotare il mare con un cucchiaino.
Per raggiungere un po' di pace c'è una sola via: allontanarsi da questi archetipi. Li deve riconoscere, temere, se vuole onorare ma, senza pretendere di venire a contatto con loro. Non si confonda. Ha ragione, l'analisi è un sussidio per trovare la propria strada e, forse, incontrare l'altro/a che è un uomo o donna, non un semi-dio che attrae e spaventa .


Aggiunto: Gennaio 25, 2015
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Medico psicoterapeuta e psicoanalista


Dott. Renzo Zambello
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